Durante le vacanze estive,
proprio come taluni volatili, pure i disabili metropolitani migrano verso
habitat più favorevoli alla sopravvivenza. Ma mentre uccelli e bipedi si
dirigono preferibilmente a sud, verso climi miti e temperati, il disabile sinantropo
predilige località a bassa intensità di barriere architettoniche, fregandosene
sostanzialmente del meteo. Non si capisce poi bene perché, ma più in un posto
fa freddo, più aumenta il tasso di civiltà di un popolo: forse i climi rigidi
favoriscono la vicinanza tra le persone, con o senza rotelle.
Ad ogni modo, le mie mete
preferite si collocano prevalentemente a Nord: dal Regno Unito in su. Avendone
le possibilità, sarei disposta a lasciare amici, famiglia, animali domestici e
marito, per rifarmi una vita in Austria o in Germania. Andrebbe bene pure la
Svezia, ma in quel caso mi porterei dietro i cani, per attaccarli alla slitta e
riscaldarmi d’inverno. Pare non vi siano al mondo luoghi più accessibili di quelli al gelo per buona parte dell'anno, possibilmente devastati da una guerra recente, che abbia creato un sacco di disabili incazzati e l'opportunità di ricostruire tutto alla loro portata.
Ad essere assolutamente sicura
che è accessibile, mi trasferirei persino al Polo.
Quest’anno il consorte ha tentato
di convincermi a trascorrere le vacanze alle Canarie. Incline al sacrificio per
amore, mi sono recata in agenzia, ove ho scartabellato con l’operatrice
turistica per ore, alla ricerca di un villaggio veramente accessibile. Dopo un
tempo infinito, sono tornata a casa con il contratto firmato e l’acconto
versato… per Stoccolma.
Nonostante le competenze
geografiche di mio marito non siano eccezionali, leggendo la brochure del
viaggio, ha immediatamente intuito che la località designata era lievemente più
a nord di quanto concordato. Gli ho spiegato che, dopo numerose telefonate,
l’alternativa Spagnola era una spiaggia accessibile, dall’accattivante nome “Los
Cristianos”, le cui principali, accattivanti attrattive descritte nel depliant
erano: l’assistenza della Croce Rossa e il trovarsi a un chilometro
dall’ospedale di Las Américas. Poiché non sono il tipo di persona che parte per
le vacanze chiedendosi quanto disti l’ospedale più vicino, né il tipo di donna
che brama trovarsi su una spiaggia dorata, con assembramenti di sedie a rotelle,
come al solito ho deciso unilateralmente per un cambio di programma.
Intendiamoci, non ho nulla contro Los Cristianos, ma considerando le mie
convinzioni religiose e il mio abbigliamento da mare, temevo che i compagni di
lettino si facessero il segno della croce ogni volta che scendevo in spiaggia. Tra
l’altro, avete idea del male che la salsedine e la sabbia fanno a una
carrozzina? L’idea di allontanarmi dall’Italia e sentir comunque suonare tutto
il giorno “Il pulcino pio” dalla mia sedia a rotelle è stato l’elemento finale,
che mi ha spinto verso altri, glaciali lidi. Tra l’altro, la brochure della
spiaggia recitava: “È attrezzata con:
docce, bagni e servizio di noleggio di sdraie e ombrelloni”. Anche se il
vocabolario ammette la parola “sdraia”, sono troppo linguisticamente chic per
andare in posti ortograficamente mal descritti. Ci crediate o no, ho scartato
più di un hotel sulla base degli errori di scrittura in risposta alle
mie mail. Che ne può sapere di accessibilità un albergatore che scrive: “Ci spiace dirle che, purtroppo, la nostra
struttura è priva di barriere architettoniche per handicappati”, o che
asserisce che l’accesso alla piscina è garantito dalla “scivola per disabili”?
Il bello di mio marito è che si
adatta rapidamente e senza protestare: così ha tolto i costumi da bagno e la
maschera da sub dalla valigia, sostituendoli con piumino ed ombrello.
Divertenti sono stati i suoi commenti leggendo la guida di Stoccolma, grazie a cui
ha iniziato farsi un’idea del clima locale, leggendo che lo 0.15% della
popolazione è costituita da lapponi, mentre il resto è diviso tra svedesi,
finlandesi e renne. Lo ha però convinto definitivamente al viaggio l’apprendere
che gli svedesi si fanno spesso la “fika-paus”: non mi soffermerò a descrivere
con che delusione abbia poi ingurgitato in loco caffè svedese più dolcetto.
Visitare altre città ci permette
di crescere socialmente e culturalmente, anche se il consorte ha tentato di
svicolare la serata al Kugliga Operan, sostenendo che non ci avremmo capito
nulla. Quando gli ho fatto notare che era un balletto, mi ha risposto: “Sì, ma balleranno in svedese!”
I cinque giorni a Stoccolma hanno
rappresentato una gradevole fuga dall’Italia inaccessibile e anche un po’ un
test d’intelligenza. Sì, perché gli accessi per disabili ci sono, ma
evidentemente i disabili autoctoni sono molto più intelligenti di me. Prendere
un ascensore, far funzionare una porta automatica o usare un armadietto ha
richiesto molto più impegno del superare il test d’accesso all’università.
Credo che lì i disabili siano bene accetti, ma solo quelli intelligenti.
Inutile dire che, senza di me, il consorte rimaneva regolarmente intrappolato
ovunque: del resto l’ho sposato solo per il suo corpo perfettamente
funzionante.
Stoccolma è la terra dei musei:
il genere di posto dove edificano un museo attorno a qualsiasi sasso che abbia
più di cent’anni. E non è mica facile capire dalle loro guide cosa sia
interessante e cosa meno. E così abbiamo esplorato tutto, spaziando da maestosi
vascelli recuperati dal fondale marino, ai tappeti, sedie e mobili d’altri tempi,
in cui si potevano già scorgere i prodromi di Ikea. E, a proposito di Ikea,
com’è possibile che nella terra che ha dato i natali agli armadi ELGÅ, PAX ed
EMNES, la camera dell’hotel non contemplasse un guardaroba? Misteri
immobiliari.
Il famigerato "Toast Skagen" |
Il cibo devo dire che era notevole, per quantità e qualità. Nonostante presentasse talune sfide che ho orgogliosamente affrontato, come salmone e caviale rosso a colazione o il toast Skagen, con cui credo di aver assunto un quantitativo di maionese e gamberetti superiore al fabbisogno annuo di un’intera famiglia lappone. Confesso di essermi però arresa all’aringa marinata accompagnata dal caffè mattutino e credo che ciò mi costerà la cittadinanza svedese.
Ciò che però è più sorprendente di Stoccolma, sono i mezzi di trasporto: appena salita sull’Arlanda Express, ho capito di essere all’estero, un po’ per la puntualità e il decoro del treno, un po’ per il wi-fi gratuito a bordo. Per di più, non mi hanno fatto neppure pagare, poiché la distanza tra treno e banchina - notevolmente inferiore a quella cui siamo abituati in Italia – lo rende “scomodo” da prendere senza accompagnatore. Inutile dire che, se possono ulteriormente scusarsi del disagio facendoti aiutare da un bel pezzo di Thor, non devi esitare a chiedere. Mio marito ha sfortunatamente declinato l’aiuto senza nemmeno capire l’inglese: gli è bastato vedere i miei occhioni luccicanti posati sul nordico helper.
Le vacanze per me sono questo:
andare in giro, usando i mezzi di trasporto che uso abitualmente anche in
Italia, ma senza guasti, autisti di pullman/tram che si fingerebbero ciechi pur
di non scendere ad aprire una pedana e, soprattutto, senza fare il muso duro,
per non dire litigare o denunciare qualcuno al fine di far valere il tuo
diritto di andare al lavoro. Per dì più, durante le ferie, tali mezzi non mi portano
nemmeno al lavoro, ma al cazzeggio: se non è il paradiso questo, cosa?
Sfortunatamente, mio marito mi porta in certi
paesi civili solo con la carrozzina a mano: con quella a motore ho il vizio di
sparire per ore, salendo senza preavviso né meta su qualsiasi mezzo accessibile
incontri. E lì se ne incontrano parecchi.
Attraversare la strada poi è un'esperienza di vita, nel senso che, contrariamente a Milano, quando attraversi a
Stoccolma sei sicuro di continuare a vivere. Gli svedesi valicano le strade con
qualsiasi colore di semaforo, senza guardare, certi che gli automobilisti si
fermeranno anziché iniziare il tiro al piattello. Inutile dire che, se uno
svedese attraversasse come suo solito una strada milanese, sarebbe spacciato.
E i bagni poi? Tutti lindi e
accessibili… i bagni del nord per un disabile sono meglio dell’acqua Roccetta
quanto a stimolare la diuresi! Solo una volta abbiamo trovato il bagno per
disabili occupato. Stavo giusto commentando col marito il fatto che anche in
Svezia doveva esservi la discutibile prassi bipede di pisciare nei cessi
diversamente abili, quando dall’interno sentiamo: “Sì, un attimino!”.
A volte, una sola frase basta a farti capire che
dall’altro lato della porta c’è un italico esemplare che accorpa in sé le due
categorie di persona che disprezzi di più in assoluto: quelli che occupano
abusivamente il bagno disabili e quelli che dicono “un attimino”.
Sant'uomo...
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