venerdì 25 aprile 2014

Dio mi ha mandato un segno: ahi che botta!

Chi mi ha seguito ultimamente, si sarà accorto che ho attraversato una specie di crisi mistica. E come sempre accade quando si mette in dubbio il proprio ateismo, ecco che si comincia a vagare in cerca di segni. E quando tendi le orecchie, in ascolto di non sai bene che cosa, finisce che qualcosa lo capti, sempre.

Ho avuto un segno: forte e chiaro.

La croce dedicata a Papa Wojtyla è crollata e ha ucciso un ragazzo di 21 anni. Al contrario dei suoi  oltre quaranta amici sani, il ragazzo non è riuscito a fuggire velocemente, a causa di un handicap motorio, così è rimasto letteralmente travolto da Cristo.

Ti dicono tutti che, se ascolti bene e apri il cuore ad ogni possibilità, finalmente riuscirai a cogliere i segni che Dio ti manda.
Dio, nessuno più di me apprezza l'ironia, ma ecco... magari potevi essere pure un tantino meno cruento.

Orsù, amici credenti, non scandalizziamoci proprio ora. Lo sapete che le mie sono vere provocazioni... vere nel senso che un po' di verità c'è sempre.

Siamo tutti col naso all'aria, in cerca di risposte, segni e miracoli, ma la verità è che troveremo sempre e solo ciò in cui già crediamo.

Chi crede in Dio, vedrà ovunque segni del Suo Amore e della Sua Misericordia. Chi non ci crede, scorgerà nelle brutture del mondo la prova che Dio non esiste.
Io invece credo forse in un Dio personale, nel senso di un Dio che ce l'ha personalmente con me.

A me Papa Wojtyla stava pure simpatico, ma sarebbe più onesto dire che in fondo la Chiesa santifica quelli più simpatici a tutti, anziché chi compie miracoli. Insomma, sono lì a scorgere prodigi laddove ci possono essere altre spiegazioni, ma se nei giorni dell'imminente santificazione, una croce dedicata a Wojtyla crolla e uccide un ragazzo, allora è solo un incidente.

Tra l'altro il ragazzo abitava in via Papa Giovanni XXIII, il Pontefice che verrà santificato a Roma insieme a Giovanni Paolo II. Io qui ci vedo una lotta intestina tra Papi defunti, a colpi di meraviglie e crudeltà. Scommetto che a Giovanni XXIII gli rode che un Papa ancora fresco di salma gli rubi la scena. O forse Dio sta dicendo che solo uno dei due è da santificare...

O forse non esistono né i miracoli né le maledizioni.

Non si può decidere di credere nei miracoli e liquidare come sfortunata coincidenza tutto ciò che va nella direzione opposta a ciò in cui crediamo.

E' questa mancanza di coerenza che non sopporto in chi crede. O anche tutto il resto è una bella e magari improbabile coincidenza, oppure anche una croce che ammazza un ragazzo è un segno di Dio.

Ma chi crede vede solo ciò che vuol vedere e, di solito, si incazza con chi osserva il contrario. E viceversa.

Lo sapevate che la figura dell'Avvocato del Diavolo (quello che deve mettere in dubbio la presunta santità del santificando) è stata abolita per accelerare i processi di santificazione? E' stata abolita per la precisione nel 1983 da Papa Giovanni Paolo II. Ma che coincidenza! Oppure no? Oppure sì, sì, sì, sono TUTTE IMPROBABILI, MA NON IMPOSSIBILI COINCIDENZE!

Tanto per cambiare oggi allora sarò io l'Avvocato del Diavolo: il crollo della croce che ha ucciso un ragazzo di 21 anni è il segno più chiaro che Dio abbia inviato sulla faccenda della santificazione di Papa Wojtyla. Tutti gli altri presunti miracoli impallidiscono a confronto della chiarezza di un simile prodigio.

Eppure Wojtyla ci piaceva così tanto... si vedeva che era buono e simpatico, quasi quanto Papa Francesco. A proposito... magari iniziamo il processo di beatificazione del Francy già ora che è vivo, così ci si porta avanti. Tranquilli che qualche miracolo da attribuirgli salterà presto fuori, perchè la vita stessa è prodiga tanto di portenti quanto di sfighe cosmiche.

Tutti gli uomini hanno bisogno di esempi di vita cui ispirarsi. Io avevo Oscar Pistorius... beh, ammetto di non avere la mira del mio ex-idolo quando si tratta di scegliersi una fonte d'ispirazione.

L'unico errore, forse, è idealizzare le persone che ammiriamo al punto di non vederne i difetti. 
Creare dei Santi non è che un modo per autogiustificare le proprie mancanze.
Sì Wojtyla era un grande, un coraggioso, uno che ha fatto delle cose pazzesche, ma lui c'è riuscito perchè non era mica come tutti noi: Lui era un Santo!

Si arriva al punto di attribuire i propri successi, le guarigioni, il recupero dei rapporti familiari ad un miracolo compiuto non da noi, ma da Qualcuno che nemmeno ci conosce.
Il rovescio della medaglia è però in chi si dispera perchè non ce la fa, non migliora, non riesce a salvare una relazione, perchè Dio non lo aiuta.

Dietro a poche decine di miracoli ci sono migliaia di persone che si chiedono: perchè io non ne sono stato degno?

In verità, in verità vi dico: smettetela di cercare segni della presenza o dell'assenza di Dio. Comunque troverete sempre e solo ciò che già alberga nel profondo del vostro cuore.


E se volete essere salvati, iniziate a salvarvi da soli.

lunedì 21 aprile 2014

Schizofrenia portami via

Oggi ho finito di assemblare l'audiolibro "casalingo" di “Mi girano le ruote”. 

E come sempre arriva il tempo dei bilanci, ovvero tempo di crisi, pure per me, mica solo per il Governo.
Le acque piano piano si calmano e si tirano finalmente le reti in barca, per vedere cosa s'è pescato. Il numero di copie vendute con precisione nemmeno lo conosco, ma non è mai stato quello il mio obiettivo. Nemmeno andare in giro a scrocco per l'italia a presentare il mio scritto era un obiettivo, anche se ammetto che come effetto collaterale non è stato niente male. Nella rete vedo valanghe di complimenti... sì insomma, per una frittura mista può anche andare. Uh! Vedo anche alcuni grossi salmoni: almeno cinque nuovi amici, di quelli che voglio rivedere davvero, non il solito "Appena mi libero, mi faccio viva io eh?". Però... però manca all'appello l'unico motivo per cui ero uscita a pesca: LA BALENA BIANCA!

Insomma, non ne ho mai fatto mistero: la mia Moby Dick era ed è cambiare il mondo.

No che non sono megalomane... beh sì, un po' sì...
Però diciamo che il mondo mica pensavo di cambiarlo tutto da sola: sono da sempre una grande sostenitrice dell'effetto farfalla.

Una disabile rompe le palle a Bolladello e un ascensore viene costruito a Pechino.

Il problema è che la vita di una farfalla dura sì e no un paio di giorni, quindi il lepidottero non ha semplicemente il tempo per capire se è riuscito a scatenare almeno un cacchio di brezza da qualche parte, chessò... verso Gallarate.

Non fraintendetemi: alla farfalla non gliene frega più di tanto di avere una vita lunga. Sì insomma, sembra strano, ma persino in due giorni si può arrivare ad annoiarsi.
La farfalla è una tipa realista: non è mai stata come quelle persone che bramano la vita eterna quando vanno in para perchè non sanno nemmeno cosa fare nel week-end.

Il problema della farfalla è che ragiona per obiettivi: lei vuole vedere dei risultati. Tutti stanno a dirle che i risultati arriveranno, nel medio e lungo termine, ma la farfalla un po' è impaziente e un po' non è tipo da sperare in un futuro migliore. E' più una concentrata sull'adesso: qui ed ora. Però non è nemmeno come la cicala, che almeno sto presente se lo gode e quel che sarà sarà. Lei vuole mettere le basi per un futuro diverso anche se, con ogni buona probabilità, non raccoglierà mai i frutti del suo lavoro.

No, non lo fa perchè è buona e vuole garantire un mondo migliore per le future generazioni. Basta con le favole delle farfalle belle e buone, che vivono per dare gioia agli occhi di chi le osserva. Le farfalle sbattono le ali proprio per scatenare uragani in posti dove sanno di non potere arrivare neppure volando per una vita intera. Lo fanno per cambiare fisionomia alla Terra e lasciare un segno tangibile della propria esistenza.

Insomma, ok: sto farneticando da minuti di pesca ai grandi mammiferi ed insetti pretenziosi. Il problema è che non sono neppure sbronza.

Lo so: ultimamente non sono in forma. Giuro che ho provato a farmi vedere da uno bravo, ma pare siano tutti troppo impegnati o troppo costosi. Ho cercato di rivolgermi addirittura ad un prete... no, ve la dico tutta: ci ho provato con ben tre preti e nessuno me l'ha dato... l'ascolto intendo. O forse me l'hanno dato, ma non quello che cercavo io. Beh, cari miei, lasciate che vi dica una cosa: provare a confessarsi gratis non è facile come si potrebbe pensare. Ho finalmente capito cosa intendeva Celentano quando cantava “Neanche un prete per chiacchierar”. Ma la colpa è come sempre mia, che cerco qualcuno con cui condividere i pensieri in piena settimana Quaresimale. Diciamola tutta: nemmeno io sono lì ad ascoltare la prima piattola che manco mi conosce e spera di riversarmi addosso tutte le sue beghe.

Poco male: Gesù mi dicono sia risorto anche quest'anno e io non sarò certo da meno.

Cavolo: in mezza pagina sono passata dal paragonarmi ad Achab, per arrivare al Messia, passando da un lepidottero.
Facciamo che torno alle farfalle prima che mi portino dentro per delirio di onnipotenza.

Giusto per finire qui...

Non importa se pensate che la farfalla sia una pazza visionaria: se l'avete incontrata anche solo per sbaglio, è vostro preciso dovere cominciare a sbattere le vostre alucce atrofizzate, per alimentare sto cacchio di uragano. Non fate come sempre i fancazzisti disfattisti o vi giuro che questa cazzo di farfalla tornerà dall'Inferno, perseguitandovi sotto nuove forme.

Gli scarrafoni antropomorfi di Mimic, a confronto, vi sembreranno tenere coccinelle.

Ok, no... sto esagerando, ma solo perchè inizio a sentirmi stanca di ripetere semmpre le stesse cose. La goccia scava la roccia... beh, non solo la goccia, anche i “tanto non serve a nulla” pian piano scavano dei bei crateri in chiunque, soprattutto se non è fatto come sembra di pietra.

Quanto a me, è giunto il momento di trovarmi qualche nuovo campo su cui svolazzare, perchè qui il sabato sera è un mortorio.

mercoledì 16 aprile 2014

Arringa in difesa di Giuda

Se avessi fatto l'Avvocato, come voleva mia madre, sicuramente sarei diventata l'Avvocato del Diavolo. Non sarei stata il tipo che difende gli innocenti: gli innocenti vogliono difenderli tutti. La vera sfida, per chi vuole conoscere l'animo umano, è capire ciò non si riesce a capire: le ragioni del Male, che alberga in ognuno di noi.

Sì lo so: sono partita molto filosofica. Ma dovete ringraziare il Vostro Papa Francesco per le riflessioni che seguiranno. Tranquilli: sono sempre non credente. E sì, domenica ho guardato la Messa in TV, ma solo perché volevo scoprire se il Papa avesse accolto il mio consiglio, chiedendo al mondo di abbattere le barriere architettoniche. Grazie a Dio non l'ha fatto e non sarò dunque costretta a mantenere la promessa-ricatto di pregare per Lui. 
Però devo dire che la Sua predica mi ha affascinato e stupito... più che altro sono stupita dal fatto che sembra che solo io abbia ascoltato le parole del Papa, mentre nessuno dei mei amici credenti ha avuto l'interesse ad informarsi circa l'ultima catechesi del proprio SuperMegaBoss Spirituale.

Facciamo che vi riassumo io la solfa. Il Vangelo della domenica delle Palme è sempre lo stesso dai tempi in cui facevo la catechista. Insomma, ascoltare la lettura del Vangelo dopo un po' è come rivedere per la millesima volta la stessa puntata di Beautiful: tradimenti, scandali, gente che muore e che poi si ripresenta qualche puntata dopo, che ci stava il barbatrucco. 
Quella che cambia, semmai, è la chiave di lettura che del Vangelo viene fatta durante la “predica”, che può far riflettere, sbadigliare o incazzare. 
Il Francy però sa fare il Suo lavoro di comunicatore ed è per questo che, si sia credenti o meno, si può ascoltare. 
Ho detto si può, mica si deve. 
Durante la Messa di domenica, si è limitato a passare in rassegna tutti gli attori della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, invitandoci chiederci: “Chi sono io?”. Sono come Pietro, tanto convinto della sua fede quanto impreparato alla prova della vita vera? Sono come quel discepolo che ha sfoderato la spada, per difendere Gesù dai soldati venuti a prenderlo? Sono come Pilato, che pur avendo il potere, non se ne sa assumere la resposabilità? Beh i personaggi tra cui scegliere sono davvero un casino. Se volete giocare al giochino “Chi sono io davanti a Gesù”, andate a rileggervi il Vangelo, che i tempi della catechesi per me sono - grazie a me stessa - tramontati da secoli.

Io sono qui per parlarvi di Giuda. Perchè io stessa, giocando a quel giochino del cazzo nella mia testa, ho subito scartato l'ipotesi di essere come Giuda.

Io non tradirei mai un amico sano di mente e capace di difendersi, figuriamoci uno così svitato da credersi il Figlio di Dio, nato da Maria - per inciso - grazie alla fecondazione eterologa.

E poi ci ho pensato meglio. 
Ho pensato a quante volte sono andata vicina a tradire qualcuno o qualcosa. 
Perché il male non è solo nei cattivi, ma in ciascuno di noi. Siamo sempre sulla stretta china tra male e bene e a volte basta una folata di vento per precipitare dal lato sbagliato.
Ho pensato a quante volte ho tradito me stessa, fingendo di essere quella che non sono, pur di sembrare figa o semplicemente come gli altri mi vogliono vedere. Quante volte ho finto e fingo di essere capace di affrontare tutto. Quante volte so solo io quello che penso davvero, che è diverso da ciò che dico.

E dopo aver capito che io ero Giuda, ho cercato di capire cosa volesse dire essere Giuda. 

Troppe volte ho sentito il dovere di far sentire l'altro lato della campana. Il lato scomodo, quello che nessuno ha la voglia di suonare. La campana che dice che sì, ci sono le barriere architettoniche e che sono brutte e sbagliate, ma ci sono pure i disabili parassiti, che sanno solo pretendere, approfittare, usare l'handicap come scusa per non fare nulla. E mi sento cattiva ogni volta che lo dico, ma lo dico lo stesso, perchè io sono una delle poche che può dirlo. Detto da chi non è disabile, sarebbe infamia, detto dalla bocca di un discepolo, è solo la verità che nessuno dei discepoli buoni vuole pronunciare.

Giuda ha fatto ciò che nessuno voleva fare: ha tradito Gesù, affinchè accadesse ciò che era scritto. Senza di lui, non stareste qui a farneticare di vita dopo la morte, non in senso cristiano almeno.
Ma fin qui ci arrivano tutti. Mi dicono che la vera colpa di Giuda non sia stata tradire, ma non avere fede: fede nel perdono e fede nella capacità di Gesù di sconfiggere la morte.

Che stronzi i cristiani! Metà della loro liturgia non fa che ripetere che la fede è un dono e poi però tutti pronti ad accusare chi questo dono non l'ha ricevuto.

E senza questo dono, che cosa poteva fare Giuda, se non uccidersi? 
Convinto fino alla fine che il Figlio di Dio si sarebbe salvato. 
Fors'anche convinto che Gesù avesse bisogno di una “spintarella” per mostrare il Suo potere, chiamando a sé schiere di angeli... 
Quando Gesù si è arreso, che scelta aveva Giuda?

Magari non riusciva a crederci come voleva Gesù, ma non segui per anni un amico in capo al mondo se lo ritieni un buffone. 

Credo che Giuda pensasse solo di scuotere le acque... e c'è riuscito: “Dai su Gesù: fagli vedere di cosa sei capace!”

La via per l'Inferno è lastricata di buone intenzioni. Per come è andata a finire, direi che non c'è dubbio alcuno: Giuda non voleva la morte del suo amico.

A ben vedere, Giuda è stato l'unico dei discepoli a non riuscire a sopravvivere all'idea della morte di Gesù. Non ha semplicemente potuto vivere con se stesso, senza di Lui.
Facile dire che avrebbe potuto chiedere perdono e lo avrebbe avuto. Per chiedere perdono devi prima poter immaginare di riuscire a perdonare te stesso.

Il perdono non è qualcosa che può darti la persona che hai ferito. Il perdono può venire solo dal tuo di cuore.

Riuscite anche solo per un istante a immaginare il dolore e la disperazione che deve aver provato Giuda in quelle ultime ore, prima dell'unico gesto che potesse dargli sollievo?
Forse no. Per capirlo bisogna essere stati almeno una volta nella vita come Giuda: colpevoli, consapevoli di esserlo, incapaci di credere nel proprio perdono e non in grado di sopportare se stessi un minuto di più.

No. Forse non sono come Giuda. Io so perdonarmi... anzi, a dirla tutta, anche quando faccio la cattiva, sento di non aver molto da dovermi perdonare. Però credo di poter capire, almeno un po', Giuda. E quando capisci almeno in parte una persona, semplicemente non riesci più a condannarla.



mercoledì 9 aprile 2014

Per chi voleva vedermi nuda

Quando mi invitano per presentare “Mi girano le ruote”, parto sempre con la convinzione di voler lasciare qualcosa a qualcuno: un'esperienza di vita (la mia), qualche riflessione, magari un sorriso o due. 

Spesso poi capita che mi porti via molto più di quello che ho lasciato.

A Massafra, per esempio, ho trovato dei nuovi Amici. Certo, “amici” ne trovo almeno dieci nuovi ogni giorno, su Facebook. Ma la vita vera che sta dietro l'ironia del mio libro, non si può condividere con chiunque. 
Come tutti gli asociali, so essere molto socievole. Ascolto tutti, eppure mi ci vogliono talvolta anni per mostrare a qualcuno il mio "lato oscuro" - che non è quello stronzo - sempre in bella vista. 
Dall'altro lato ci sono le affinità elettive: più uniche che rare.
Quando ti dicono che verrà a prenderti all'aeroporto il Presidente della Proloco, ti innervosisci per aver padellato di salsa l'unica giacca buona e ti aspetti di doverti giustificare con un mezzo politico, mica un Raffaele Zanframundo e consorte. Non avrei scommesso un cent sulla probabilità che meno di tre ore dopo mi sarei sentita così in confidenza da permettere a Claudia di lavarmela, quella giacca.

Con Claudia e Raffaele è stato amore a prima vista: abbiamo parlato ti tutto, sin dal viaggio in auto dall'aeroporto di Taranto a Massafra. E' difficile saper cosa dire a degli estranei, eppure ogni volta che alzavo gli occhi dalla conversazione, scoprivo che erano passate ore e che ancora non avevo voglia di lasciarli. Ciò nonostante lo sgroppino del nonno, che in altre condizioni mi avrebbe cioncato secca sul posto. Due persone che hanno vissuto situazioni forti e difficili, ma che le hanno condivise con serenità, quasi come una cosa leggera, non perchè non ne avessero sofferto, ma perchè non hanno permesso alla sofferenza di abbruttirli. 
Quasi ogni giorno le persone mi parlano dei momenti difficili che hanno attraversato, ma è la prima volta che ascolto qualcuno capace di raccontarsi senza lasciar calare un ombra sui propri occhi. 

La capacità di raccontare ciò che è stato, non per riversartelo addosso in un fiume di rabbia, dolore e rimpianto, ma per condividere la propria vita, senza lasciartene il peso sulle spalle.

E poi, quando parlavano della propria città e me la mostravano persino nel cuore della notte, come se potessi vedere davvero nel buio qualcosa che stava a 3 chilometri... e scoprivo di vedere tutto, con i loro occhi.

Non li vedo da sabato, eppure mi mancano ogni giorno, nonostante i messaggi e le telefonate, che arrivano sempre mentre mi dico: “Certo son stati gentili, ma Engy non è che adesso puoi fare la cozza e disturbarli quando ti gira!”

Ma in Puglia ho incontrato anche la musica. 
Un rapporto difficile il mio, con la musica, sin da quando a scuola ero l'unica a cui fosse stato fatto credere di non poter suonare uno strumento. E così, mi sono comportata come la volpe con l'uva: chissene frega di suonare, nemmeno mi ricordo come si leggono le note!

Poi un disabile “qualunque” mia ha dimostrato che per suonare bastano poche dita (nemmeno tutte), un po' di fiato in corpo e, soprattutto, l'anima.

Nel caso dell'incontro con Vincenzo Deluci, lo scambio non è stato affatto equo. Lui mi ha dato la sua musica e in cambio si è fregato il mio cuore. Il punto è che credo non se ne sia nemmeno accorto, lo stronzo! ;)

Ma partiamo dall'inizio, con una confessione: anche i disabili hanno dei pregiudizi sugli altri disabili. 

Io, per esempio, sono sempre stata convinta che un disabile “di nascita” fosse più professionale di questi parvenu post-incidente. Insomma, non sono mai stata politicamente corretta nei confonti dei normodotati e non intendo esserlo ora che parlo di disabili. Se nasci con un handicap, hai più tempo per fartene una ragione. Nell'adolescenza quasi nessuno combina una cacchio, salvo crogiolarsi nelle proprie disgrazie, siano esse sedie a rotelle o brufoli. Se tutto va bene, superato il picco ormonale, inizi a riflettere su ciò che hai, più che su ciò che ti manca. Magari avverti invidia, per chi può fare cose a te precluse, ma non il senso di perdita di non poter più fare ciò che sapevi fare. Insomma, mi piacerebbe saper camminare, ma la verità è che rotolare alla fine, per me, è la stessa cosa: mi sposto da A a B proprio come un bipede... beh, forse più velocemente. 
Poi ho incontrato Vincenzo, qualcuno che aveva imparato a suonare la tromba sin dagli otto anni e che, a causa di un incidente, ha dovuto e soprattutto VOLUTO imparare a suonarla in modo completamente diverso.
La sera in cui sono andata a presentare il mio libro a Fasano, con il gruppo di AccordiAbili, ho convinto Vincenzo a suonare qualcosa per me. Solo ora mi rendo conto di quanto sia stata superficiale io e coraggioso lui. Ha accettato di suonare senza riscaldamento.
Non sono un'esperta di musica, ma mi piace considerarmi una “collezionista di anime”. Ogni anima ha il suo prezzo, ma a differenza del Diavolo, quando me le mostrano, poi le rendo, più leggere di prima se riesco. Per riuscire a intravedere l'anima di qualcuno però, spesso servono fiumi di parole, fatica e sofferenza, comunque inutili se non si trova il coraggio di esporsi al giudizio altrui.

Vincenzo ha suonato per me.

E ha suonato dei brani conosciuti da tutti: il genere di brano in cui sai esattamente che nota aspettarti in ogni momento. Ma nella prima fase, senza riscaldamento, non tutte le note uscivano come erano scritte. Si avvertivano, per una frazione di secondo, lo sforzo e la frustrazione di non poter arrivare a quella nota. 
Io mi sarei fermata. 
Io del resto sono quella che dipinge e non tollera di vedere per casa nemmeno uno dei propri quadri imperfetti, figuriamoci esibirli al mondo. 
Vincenzo invece ha preso al volo ogni possibile “errore” e ha creato una variante. Ha trasformato un brano inflazionato, in un gesto geniale e unico. In ogni nota non suonata come da manuale, ho sentito l'anima di chi stava suonando, un'anima capace di gridare al mondo: IO NON MI ARRENDO, IO NON MI FERMO! Un'anima consapevole del limite imposto dal corpo, ma capace di far nascere da questo limite qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima.
Vincenzo è sicuramente stato un grande musicista prima dell'incidente, ma ora è di più. Senza dolore e senza limiti, non si può diventare così grandi. E la grandezza, per me, sta nel raccontare la propria storia vera: non quella che ci raccontiamo o quella che vorremmo far passare agli altri. Se l'Arte è prendere un pezzo della propria anima e metterla sotto gli occhi di tutti, Vincenzo è un vero artista, laddove io sono e sempre sarò solo, eventualmente, una brava scrittrice. Perchè io lascio intravedere le cose, ma solo dagli spiragli di una corazza ben salda e stando sempre bene attenta a  mostrare unicamente ciò che voglio.
Quella sera ho riso e scherzato, come se non fosse una presentazione diversa dalle altre. Ma se c'è una cosa che Vincenzo mi ha insegnato, è che io ho perso troppo tempo a cercare di dimostrare di essere come gli altri, quando avrei dovuto essere me stessa sin dall'inizio. 
Lui ci è arrivato in meno anni della disabile dal sangue blu, che sono io.
Se volete sapere ciò che il mio libro non dice sulla disabilità, ascoltate “Si addormenta e vola” di Camillo Pace e Vincenzo Deluci: così onesta, io non lo sarò mai, neppure con me stessa.

E scusate se quest'ultima parte non è scritta con la solita ironia, ma l'ironia infondo è solo una corazza e io oggi non avevo voglia di vestirmi.

sabato 5 aprile 2014

Non ho incontrato Papa Francesco

Nonostante nel mio tour di presentazione del libro abbia incontrato tante persone che mi hanno toccato l'anima e forse cambiato la vita, tutti continuano a chiedermi solo dell'incontro col Papa.
E di questo allora vi voglio parlare ora, nella prima notte insonne dal rientro (meno di nove ore fa) da una delle esperienze più piene della mia vita. E se parto dal Papa, è solo perché è stata l'esperienza più rapida da rielaborare. Un'esperienza che mi ha dato qualcosa, ma non quella cosa che tutti, inclusa me, si aspettavano.

Proprio nei luoghi ove le persone rinsaldano la propria fede, io sento di perderla più che mai.

E' nei luoghi "sacri" che incontro quelle persone semplici e pure di cuore con cui non riuscirò mai a creare un legame. Non perché sia una persona migliore, ma proprio perché percepisco quell’abisso di differenze impossibili da colmare. 
Persone che hanno trovato nella fede la forza di sopportare il proprio dolore. 
Persone che credono senza alcun dubbio in un Dio onnipotente che permette tanta malattia, ignoranza, superficialità. 
Persone che si lasciavano spostare come dei pacchi, da addetti che si riferivano a noi come a scatoloni da disporre al meglio per evitare l'ingombro. Sentivo cerimonieri e uomini della sicurezza gridarsi da una fila all’altra: “Qui ce ne stanno altri tre, li lascio qua o preparo un altro mucchio?” E no, non parlavano di sedie, ma di disabili. Eppure nessun altro sembrava accorgersi di ciò che faceva irritare evidentemente solo le mie orecchie. Le uniche parole che questi malati avevano sentito e che continuavano a ripetersi tra i brividi di eccitazione diffusa erano: “Hanno detto che il Papa passerà proprio qui in mezzo, fra noi!” 
Probabilmente non vedendo in me il dovuto entusiasmo, qualcuno mi ha addirittura detto: "Ti rendi conto?! Poi il Papa si fermerà a salutarci personalmente. Almeno nella sfortuna, abbiamo una fortuna.” 
E nella mia mente ho pensato: “Che culo!”. Giuro però che non l'avrei mai detto davanti a loro, perché nemmeno io sono così carogna da rovinare la festa a qualcuno che aspetta un momento così da chissà quanto.
Osservavo le persone intorno a me, rendendomi conto che, per tutti gli altri, quell’incontro col Papa sarebbe stato uno dei momenti più importanti della vita. 

E indubbiamente quella sbagliata, lì ero io.

E' ovvio che l’incontro con un Papa dovrebbe essere per tutti - credenti o meno - uno degli eventi più indimenticabili della vita. E sicuramente mi sarei emozionata di più, se non avessi osservato e analizzato tutto come sempre. Il caro Freud aveva ragione: la psicanalisi non è come un paio di occhiali che puoi togliere quando vuoi. E questo ho notato: che molte persone sembrassero più preoccupate di immortalare l’imminente incontro, anziché vivere l’incontro stesso. Nonostante fossimo stati tutti informati che ben due fotografi professionisti avrebbero fissato quell’attimo nel tempo (molto meglio di qualsiasi macchinetta fotografica o cellulare), la smania da selfie col Papa era irreprimibile perché, in fondo, chi era lì già pregustava il momento in cui avrebbe esibito quelle foto con amici e parenti. Non potevo fare a meno di chiedermi quanti fossero lì davvero. Qui, ora, nel presente, anziché già proiettati al dopo, al come l'avrebbero raccontata. 

Come se la vita di una persona potesse acquistare valore agli occhi altrui non tanto per merito di ciò che è o fa, ma in virtù della luce riflessa da qualcun altro. 

E più mi guardavo intorno, più mi chiedevo: “Che ci faccio io qui in mezzo?” 
Nessuno mi ha obbligata: è stata una mia scelta, fortemente voluta.
Eppure continuavo a chiedermelo: “Che ci faccio io qui in mezzo?” 
Il Lupo cattivo e ingrato, in mezzo agli agnelli.

E subito mi rispondevo che ero lì per consegnare un messaggio, sicuramente il mio messaggio, non quello di Dio. 

Ma non era vero. L'ho capito solo ora: non era quello il motivo.

Continuavo a ripetere mentalmente la frase che mi ero preparata a tavolino, da brava studiosa di comunicazione. Una frase provata e riprovata nella mia testa, per evitare che l’emozione eventuale potesse bloccare la memoria. E più Francesco si avvicinava, più mi stupivo di non sentire nulla nascere dentro di me, se non un senso di distacco dato da quel pensiero martellante: “Io non sono come loro. Io non sarò mai come loro.” 

Poi è arrivato Francesco. 

Le persone intorno sono sparite e quando mi ha guardato, mi sono ricordata il pezzo della catechesi appena pronunciato da Lui. Perché io non credo, ma ascolto. E Lui aveva appena insegnato a noi sposi le parole magiche del matrimonio: Permesso, per non essere invadenti nei confronti dell’altro; Grazie, per mostrare riconoscenza; “…e la più difficile di tutte: Scusa”. 
Così ho chiesto Permesso, prima di porgergli il mio libro. E poi, invece del bel discorso che mi ero preparata, ho enunciato a voce decisamente troppo, troppo alta: “Io non credo in Dio.” 

Una lunga pausa, mano nella mano di Francesco, occhi negli occhi. Il resto del discorso sembrava non importare più, nemmeno me lo ricordavo.

Il Papa ha aspettato, come se non potesse accettare che finisse così. Ho ripreso a parlare dopo quella che mi è sembrata un’eternità e la mia voce a quel punto aveva perso di forza, tremava: “… ma se dirai a tutti di abbattere le barriere architettoniche, io pregherò per te.” 

Mi ha abbracciato, baciato, continuava a ripetere “Grazie, grazie, grazie…” Come tutti gli uomini, credo che anche Lui abbia sentito alla fine solo quello che si aspettava di sentire, cioè “io pregherò per te”. 

Ho capito all'istante che la parte che credevo per me più importante, quella delle barriere architettoniche, non era passata. 

E non per colpa del Papa, ma perché solo in quel momento ho compreso che ero lì per un altro motivo: in fondo speravo di tornare sul “luogo del delitto” e ritrovare quella fede persa tanto tempo fa, a Lourdes. 
Non ho provato delusione, ma solo ammirazione, per il fatto che, nonostante tanta folla, Francesco mi abbia dato tutto il tempo di finire quello che volevo dire, come se non avesse fretta di andarsene. Semmai ero io che avevo ansia di fare presto, per non disturbare oltre misura e togliere spazio a chi quell'incontro lo meritava molto, molto più di me.
E l’ho ringraziato. Lui ripeteva “Grazie” e io “Grazie a te.” Con quel grazie, ho messo così in pratica anche il Suo secondo insegnamento agli sposi, ed era un grazie sincero. 

Ora che sono qui invece, mi rammarico di non aver chiesto anche Scusa

Scusa, per non essere riuscita a tornare come il figliol prodigo. 
Scusa, per aver fatto un viaggio tanto lungo per riavvicinarmi alla casa del Padre, solo per capire proprio davanti alla soglia che non ero pronta a tornare.

Tutti mi hanno poi chiesto di descrivere l’emozione provata in questo incontro. Ho letto nei loro occhi un’aspettativa e una gioia che io non ho provato con l’intensità che si conviene in questi casi. Ho addirittura pensato di provare a fingere un pochino, per non sembrare la solita stronza ingrata e snob. 

Ma la verità è che questo incontro-non incontro mi è servito, ma non mi ha cambiato tanto quanto quello con alcune persone eccezionali e meravigliose conosciute in questi giorni e di cui vi parlerò appena sarò in grado di sopportare la nostalgia. 

Perché tanto mi hanno intristito le persone che si rivolgevano a Francesco come ho visto fare solo con le pop star, incapaci di un incontro vero. Ma la verità è che nemmeno io sono stata capace di quell’incontro vero con l’altro, troppo presa da ciò che volevo dire, commettendo lo stesso errore che rimprovero spesso ai miei tesisti: così presi dall’ansia di finire il discorso preconfezionato da non riuscire a preoccuparsi di essere ascoltati e compresi davvero. 
Nonostante la Sua disponibilità, io ho sentito che il messaggio sulle barriere non è arrivato dall’altra parte. Io mi ricorderò di lui, perché è inevitabile. Ma l'incontro vero richiede che ci si ricordi l'uno dell'altro. 

Chiedo scusa per aver deluso tanti, che infondo si aspettavano da me un riconoscimento di quella fede inconsapevole che spesso mi viene attribuita, nonostante ciò che continuo a dire. 

"Signore, non sono degna di partecipare alla Tua mensa, ma dì soltanto una parola, e io sarò salvata." Sono sempre state queste le parole che più sentivo di ogni Messa.

Ma o il Signore continua a tacere, o io sono sorda come una campana.
Non escludo che un giorno non ritroverò la fede, ma se mai accadrà, sicuramente non sarà in un luogo di culto.