E' vero: l'ho fatto. Ma fino a pochi giorni fa, non lo avevo mica capito che fosse una cosa tanto grave.
Gradualmente però me ne sto rendendo conto, soprattutto dalle reazioni delle
persone.
Non che sia il tipo che va in giro a dire che ha scritto un libro ma,
contrariamente ai disabili, le voci corrono.
No, okay... ho detto una bugia: lo
ammetto… sono proprio una di quelle che ogni due minuti sbandiera su Twitter e
Facebook le novità connesse all’uscita del libro, ma non è che nella mia vita
ci siano poi molte altre cose che valga la pena raccontare. Posterei le foto di
quello che cucino, se non me ne vergognassi tanto.
Ma torniamo al libro. La casa
editrice un paio di cose te le spiega, ma mica tutte, probabilmente perché teme
che ti venga un attacco di panico anzi tempo.
Tra le cose che ad esempio non ti
dice è che persone che vedi da sempre, improvvisamente, quando scoprono che
hai scritto un libro, ti considerano. Alcuni fin da subito,
altri solo dopo averti chiesto “Ma hai
pagato tu la stampa?”. Certo che no! Va bene essere una disabile self-confident, ma non
investirei mai economicamente su una persona come me, che non sa nemmeno
vestirsi da sola. Per fortuna Voltalacarta editrici ha scoperto che non sono in
grado nemmeno allacciarmi le scarpe solo di recente: ormai i soldi li ha spesi.
Quando finalmente arriva il tuo libro in libreria, succede più o meno così.
La notizia all’inizio arriva ai
parenti e da quelli i complimenti te li aspetti, così come ti aspetti che alla
tue spalle si scambino in famiglia verità scomode sul tuo libro. Però di alcuni di
loro non crederesti mai che lo abbiano letto davvero tutto. Sì, insomma, pensi che
facciano un po’ come te, quando proprio sei costretta a dare un parere
rassicurante sulla tesi di tuo cugino: leggi le prime due pagine, quelle
centrali, le conclusioni e poi dici che l’hai divorata in poche ore. Mica è una
bugia infondo. Invece i parenti ti citano: pagina, numero, capoverso e aperte
virgolette. Nemmeno tu ne saresti capace e il libro te lo sei scritta.
Dopo qualche giorno, capita che
persino il collega dell’ufficio accanto, che nemmeno ti salutava alla
macchinetta del caffè, ti dice: “Ho letto
il tuo libro.”
Così: punto.
Più che l’inizio di un discorso sembra una
costatazione e nemmeno di quelle amichevoli.
E tu sei lì stupita, innanzi tutto
perché non sapevi nemmeno che il collega sapesse leggere e poi perché, tra
tutti i libri che poteva comprare, ha comprato il tuo, che non è nemmeno così
facile trovare in giro.
Poi il collega ti sorride - uno spettacolo davvero
raccapricciante, credetemi – e dice: “Mi
hai fatto morire dal ridere!”.
Che dire, siamo passati dal non salutarci al
distributore automatico al “tu”,
senza nemmeno passare per il “Buongiorno”.
Poi parli con alcuni che arrivano addirittura a
confessare che il tuo è l’unico libro che abbiano mai letto per intero, dai
tempi della scuola. Loro vogliono essere carini e invece ti senti in colpa! Avrebbero
potuto godersi capolavori come “Il nome
della rosa” o “Il Signore degli
anelli”, ma sono finiti col leggere “Mi girano le ruote” e questo solo perché hanno avuto la sfiga di
conoscere di persona te anziché Eco o Tolkien. Riesci a non fare harakiri solo
pensando che poteva pure andare peggio: potevano essere amici di Fabio Volo.
E ti chiedono l'autografo, magari con dedica. Così è successo che hai firmato la tua prima copia del
libro: hai pensato a delle belle parole da scrivere, hai sfoderato la miglior calligrafia da istituto Canossiano e
poi, per abitudine, hai siglato il tutto con le iniziali del tuo Capo.
E non è che poi sia andata meglio. Per gioco scrivi pagine e pagine di parole e poi ti blocchi davanti a una dedica. Alcuni amici fumettisti cercano di aiutarti e ti consigliano di non concentrarti troppo e di scrivere le dediche d'istinto. "Affidati all'inconscio!" Sì, peccato che dopo un paio di dediche atroci ti è subito chiaro che inconsciamente ti piace offendere il prossimo.
Ma questo non è tutto. Passa una settimana dalla distribuzione del libro, apri la casella di posta dell’ufficio e scopri una mail del tuo
Capo, contrassegnata come urgente e che nell’oggetto riporta: “Ho letto il tuo libro”.
Ecco: è finita.
L’ha scoperto e ora è incazzata a
morte per la battutina in cui scrivi che il tuo Capo non è tipo da
discriminare i disabili, perché preferisce sfruttarli come un negriero.
Clicchi tremante sulla mail che
si dipana davanti ai tuoi occhi annebbiati dalla disperazione e… trovi un sacco
di complimenti!
Anni e anni trascorsi a cercare di brillare agli occhi di
qualcuno che - non lo ammetteresti mai - infondo stimi, per scoprire che per
avere la sua approvazione dovevi scrivere un libro… Cioè fare un altro lavoro a
ben vedere.
Però sei commossa, davvero,
questa proprio non te l’aspettavi.
La prima intervista invece te
l’aspettavi eccome! Ti avevano avvisata per tempo e ti senti pronta! Via con la
prima domanda: “Perché hai scritto un libro?”
Oh cavolo.
A questa mica sai rispondere.
Intuisci vagamente che la verità non sarebbe in questo caso opportuna, perché
nessuno scrittore promettente direbbe mai: “Perché
ero sbronza e ho perso una scommessa.” Però non vuoi nemmeno mentire ai
potenziali lettori. Così ci giri in giro e dici che infondo non lo sai perché,
che è successo e basta e che in qualche modo sono stati soprattutto i tuoi
amici a spingerti.
Il resto dell’intervista scorre
meglio. Le domande sono intelligenti e dato che sei più che altro abituata a quesiti
idioti del tipo “Com’è successo che sei
finita in sedia a rotelle?”, questa nuova realtà, per una che nemmeno
cammina, è quel che i bipedi definirebbero “un passo da gigante”.
Piano piano scopri intorno a te
un mondo di persone sveglie, che esigono risposte intelligenti.
Per fortuna ci
sono ancora quelli che ti dicono: “Che
brava, hai scritto un libro! Così ti tieni un po’ impegnata eh?”
E quelli che osservano: "Dio ti ha fatto il dono della
scrittura!"
E figurati se una cosa giusta che
facevo non era merito di un altro.
Non ci fossero costoro, avrei la
certezza di essere morta e finita inspiegabilmente in Purgatorio, anziché direttamente
all’Inferno.
Per fortuna anche a casa resta
tutto uguale, a parte qualche battuta tra moglie e marito:
"Amore, ti faccio solo notare che mentre tu ti cambiavi, io
sono tornata a casa, ho fatto terapia col respiratore, cyclette per 45 minuti,
cucinato, apparecchiato tavola portando piatti e bicchieri uno a uno e, nel
tempo libero, ho pure scritto un libro!"
Poi un giorno arriva la
free-lance che ti pone la domanda topica:
“Credi
che il tuo libro, in qualche modo, possa cambiare il mondo?”
E tu scoppi a ridere, convinta
che la giornalista ti stia fottendo.
Adorata ironia: allora non la uso
mica solo io!
Però lei è lì, seria,
imperscrutabile, apparentemente convinta che un piccolo libro scritto da
un’handicappata e pubblicato da una casa editrice sarda possa davvero cambiare
i destini dell’umanità.
Eh no, è proprio seria!
Cavolo, io cambiare il Mondo?!!
Ma questa qua lo sa che il mondo è popolato soprattutto da normodotati?!
Fossero perlopiù disabili, avrei una chance, ma così…
Però l’intervistatrice ti fissa
paziente, una risposta la vuole proprio, ma “Prenditi
pure del tempo per pensarci”.
Non ti resta che ricomporti,
giustificare l’accesso di risa come sporadico effetto collaterale della tua
misteriosa patologia - tanto i bipedi si bevono più o meno tutto in fatto di
handicap – e dare una risposta plausibile.
E ovviamente rispondi che ti
piacerebbe crederci, ma che sai che non è facile. Ti impegni comunque a
provarci con tutta te stessa, che tanto pare non ci sia molto di più importante da fare
nella vita che ridefinire gli equilibri sociali di questo Paese.
Hai trascorso 38 anni della tua
vita cercando di riempire i buchi di tempo dandoti a ricamo, pirografo, pittura
e, disgraziatamente, alla scrittura e, dall'oggi al domani, ti rendi conto che le prossime
tre settimane della tua vita non contemplano un numero di ore
sufficienti per fare tutto ciò che ti propongono di fare. Interviste,
presentazioni, articolini, riprese, cene con amici ritrovati dopo anni e persino pranzi
con alti rappresentanti del clero. Più che alti, larghi in effetti. E in tutto
questo marasma, arriva una telefonata in cui ti chiedono se vuoi partecipate a
un programma fichissimo su Radio2.
Ecco, lo sapevi: hai esagerato a
tirartela con gli amici e ora per vendicarsi ti fanno lo scherzone!
“Maddai scema! Ilaria, ti ho riconosciuta! Va là che per fregarmi devi impegnarti di più!”
E però è davvero la Radio e a
quanto pare la scema sei tu.
Tu in Radio? E’ evidente che
questi qui non sono amici della logoterapista, altrimenti non si spiegherebbe
perché ne vogliano rovinare la reputazione su territorio nazionale.
LA RADIO?!!
No, dico, poi mica Radio Maria, da cui un po’ ti saresti aspettata che
coinvolgesse una sciancrata come te, ma una Radio vera, gestita da conduttori
veri, mica preti! Un programma poi come CaterpillarAM… cavolo, non hai nemmeno
dovuto mentire quando hai detto che li ascolti sempre!
Ovviamente accetti, chiedendo
semmai se sono proprio sicuri non ci sia uno scambio di persona e dicendo che,
se cambiassero idea pure all’ultimo, tu capiresti.
E poi, come ogni sera, sali sul
solito treno che, se tutto va bene, ti porterà a casa. E ti senti sola. E inizi a
riflettere. Improvvisamente capisci che tutto è iniziato come uno scherzo, ma
che forse ora hai delle responsabilità.
Non te lo saresti mai aspettato
da qualche nottata di bagordi trascorsa a ridere e a piangere davanti al
monitor del tuo computer, ma è successo: hai davvero partorito un libro e ora devi
assumertene la responsabilità.
Devi farlo innanzi tutto per
quelle pazze di Luana e Silvia, le tue editrici col nome da pornostar, che
hanno creduto in te al punto da investire i loro soldi… e tu lo sai che mica
sono figlie di Berlusconi, altrimenti avresti pubblicato con Mondadori. Non
potresti mai perdonarti di essere la responsabile del fallimento di due piccole
e determinate imprenditrici sarde, sopravvissute tenacemente alla crisi
economica.
Devi farlo perché un risultato è
già sotto i tuoi occhi: alcune persone hanno letto un libro in più e tu speri
che sia vero quello che ti hanno sempre raccontato e cioè che non importa
quello che si legge, purché si legga.
Devi farlo perché alcune persone
e associazioni è evidente che in questo progetto ci credono. E chi sei tu, per
pensare che tutta questa gente molto più in gamba di te si sbagli?
Ma soprattutto, devi farlo perché
ti sei dimenticata da tempo la cosa più importante: che saper scrivere è un
dono e se il tuo corpo non è in grado nemmeno di sorreggere il suo stesso peso,
ma sa battere alla tastiera, forse un perché infondo c’è. Forse ti si sta chiedendo di usare il tuo dono più grande per fare ciò che da sempre sai fare
meglio: rompere le palle.
O forse ti stai solo montando la testa.
Quel che è certo è che se una farfalla che sbatte le ali a Pechino può causare un tornado in Texas, per come so rompere le palle io, c'è da aspettarsi l'Apocalisse.
O forse ti stai solo montando la testa.
Quel che è certo è che se una farfalla che sbatte le ali a Pechino può causare un tornado in Texas, per come so rompere le palle io, c'è da aspettarsi l'Apocalisse.
Sia come sia, per una volta nella
vita, voglio a provare a rompere le palle al prossimo non solo per ottenere qualcosa per me, ma
anche qualcosa per i miei compagni di ruota. Perché una lingua lunga come la
mia è davvero troppo per servire una sola persona.
Per fortuna non sono da sola. Al
mio fianco ho solo gente tosta… chiamatela selezione naturale se volete. Ma
soprattutto al mio fianco ho realtà vere e concrete, che da molto prima di me e
in modo molto più efficace, lottano per abbattere le barriere architettoniche e
mentali, come la UILDM di Sassari, che sta organizzando il mio tour sardo e che
farò di tutto per non deludere. Perché io un libro l’ho scritto per scherzo, ma
la UILDM da sempre si impegna per davvero. E se una donazione la volete proprio fare, non lasciatemi in mano il resto dei 14 euro del libro, che non mi bastano nemmeno per un chupito, ma fate una donazione seria a loro.
La foto qui sopra risponde alla domanda: "Come ti è venuto in mente di scrivere un libro?"
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