“Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo
esempio” – credo che questo sia uno dei versi di De André che preferisco e
che canto nella mia testa ogni volta che qualcuno sente il bisogno di dirmi
cosa sarebbe meglio facessi o non facessi. L’ultimo dei buoni consigli che mi
sono guardata bene dal seguire è stato quello di cancellare il tour in Sardegna
dopo l’alluvione.
Se c’è una cosa che la vita mi ha
insegnato, è che ogni volta che rinunci per timore, ciò che rischi davvero è di
perdere una bella occasione, in questo caso, addirittura la più bella.
Insomma, ormai sono una carampana
di mezza età e spesso nell’ultimo periodo mi aveva sfiorato l’idea che le
esperienze più interessanti della vita fossero già state vissute. Stavo
provando seriamente a convincermi che ormai avevo ottenuto tutto ciò che volevo
e che contava per me: viaggiare, svolgere un lavoro che mi piace e mi dà qualche
soddisfazione, avere al mio fianco un compagno che mi tratta come una sorta di
divinità da compiacere… invero una divinità non sempre benigna.
Nemmeno un bipede potrebbe volere
di più dalla vita.
Eppure... no. Non sono mai
riuscita ad accontentarmi di quello che ho. Non che non lo apprezzi:
semplicemente non so fermarmi. Perché quando la vita ti ha dato tanto, anche se
sei una stronza di prima categoria come me, a un certo punto senti il bisogno
di rendere qualcosa, fossero anche cazzotti.
Questo tour in Sardegna mi ha
regalato molto più di quello che mi aspettavo. Ogni tappa è stata unica e
toccante per diversi motivi. Da sei presentazioni in cinque giorni ci si
aspetterebbe di confondere gli eventi, eppure no: ogni incontro, ogni volto è
rimasto limpido e distinto e così sarà finché Alzheimer non subentri.
La prima serata a Sassari con Lalla Careddu, la sua gobba invisibile che porta comunque fortuna e i corazzati delle UILDM. Una partenza in quarta
e senza freni, perché diciamocelo, i disabili le battute le capiscono prima dei
bipedi.
Dalla Libreria Cyrano di Alghero con Speranza Serra ho provato l’ebbrezza
del connubio libri e vino… e se ho usato il termine “ebbrezza” non è
assolutamente un caso, che mica ricordo cosa ho detto, ma è andata bene meda!
E poi la Libreria Koinè a Porto Torres,
dove come spalla ho avuto il libraio DOC Andrea Deiana: spiritoso, colto,
intelligente e brizzolato… fortuna che era già impegnato sentimentalmente.
A Cagliari ho sentito pagine del
mio libro declamate dal grande attore di teatro Maurizio Anichini ed è stato così coinvolgente
che per un attimo mi sono chiesta se ero stata davvero io a scrivere una simile
figata.
E poi l’esperienza al carcere di Nuchis.
Non ero sicura di volerla fare.
E man mano che mi spingevano
attraverso porte blindate e sbarre che si chiudevano dietro di me, mi sono
sentita sempre meno sicura.
Davanti all’ultimo cancello, ho
messo istintivamente le mani sulle ruote, per frenare quell’avanzata verso il
peggior incubo di una ex-claustrofobica.
Ma sono entrata... mi hanno spinto più che altro eh!
Sono entrata in
quella stanza chiusa, con 30 carcerati, senza maniglie alle porte e alle
finestre. E la prima cosa che mi ha colpito è stato il Rispetto. Sono entrata e
hanno smesso di chiacchierare, senza nemmeno bisogno che attaccassi il discorso.
Mi guardavano tutti, cercando di sedersi più vicini possibile, non come nelle
solite aule universitarie dove le prime file sembrano il deserto dei Tartari. E
allora mi sono detta: “O la va o la
spacca: io la battuta la faccio!”
Così ho iniziato dicendo che per
la prima volta mi sentivo sicura nel fare una presentazione, perché il mio più
gran timore è che la gente si annoi e lasci la sala, mentre da lì ero certa che
non sarebbe scappato nessuno.
Ed è andata. Il carcerato capisce
le battute anche prima del disabile: è stato subito un amore galeotto.
Non ho mai visto un’aula così
attenta e partecipe. Nessuno mi ha mai fatto domande così profonde e acute.
Nessuno si è mai adattato così rapidamente al mio registro diversamente
ironico. Abbiamo riso, abbiamo parlato di legalità, di assunzione di
responsabilità… perché lì dentro nessuno dice di esserci finito per caso,
mentre qua fuori tutto quel che accade è sempre colpa di qualcun altro. Abbiamo
parlato di Dio e hanno addirittura cercato di convertirmi: 30
carcerati convinti della mia segreta fede interiore, mi hanno portato più
vicina a mettere in discussione l’agnosticismo di qualsiasi prete.
E le battute che hanno proposto
loro stessi sulla disabilità e sul carcere, mi hanno fatta sentire una
principiante. Chi si vantava di aver risolto il problema delle barriere
architettoniche facendosi rinchiudere a vita in un carcere accessibile, chi mi
ha rassicurato sul fatto che la sedia a rotelle non era un problema perché lì
dentro avevano visto di peggio e chi osservava che discutendo io di leggi da
interpretare anziché applicare stavo parlando di corda in casa dell’impiccato.
E in tutto questo, l’unica che è
passata dal Lei al tu, sono stata io. Perché quegli avanzi di galera nemmeno
per un istante hanno smesso di chiamarmi “Dottoressa” e di darmi del Lei, con
la sola eccezione di un uomo che per tutto il tempo ho pensato fosse convinto
avessimo scritto il libro in quattro, prima di rendermi conto che mi stava
semplicemente dando del Voi.
E alla fine mi hanno tutti voluto
stringere la mano, quando non abbracciare e baciare. Mi hanno fatto sentire una
di famiglia, anche se non ho ancora ben capito se del tipo con la “f” minuscola o maiuscola.
Si sono impegnati a consigliare il mio libro a tutti i loro familiari e hanno
chiesto delle copie per il carcere. Una copia a dirla tutta me l’hanno fregata
sotto il naso, ma diciamo che il sistema è stato così sottile che se la sono
guadagnata.
Poi esco di lì, un
cancello dopo l’altro, e scopro che il tizio che citava autori sconosciuti
persino a me è dentro per strage. Mi dicono che ho baciato sulle guance un boss della Mala
e che il signore che pareva la copia sputata del mio zio preferito deve
scontare quattro ergastoli. E quando ho saputo tutto questo, anziché repulsione,
ho provato solo il desiderio di conoscerli ancora meglio e di capire come sia
possibile che delle persone che farei entrare volentieri nella cerchia delle
mie amicizie più intime (e io sono incredibilmente snob a riguardo), abbiano
fatto determinate scelte.
E improvvisamente ho realizzato che non
posso più essere favorevole alla pena di morte, perché due ore in gattabuia mi
hanno fatto vedere la luce.
E so che non potrò più guardare
i ragazzi svogliati che incontrerò ad ogni nuovo colloquio senza fare un
confronto. E mi chiedo se potrò sopportare come prima tanti giovani che parlano
di crisi e la usano come giustificazione per tutto, senza vedere le opportunità
che in realtà hanno per il solo fatto di essere liberi, sani e in un’Università
che non sarà perfetta, ma che può dare tanto di ciò che ad altri è negato.
E infine, l'ultimo giorno del tuor, il Centro Logopedico-neurolinguistico di Olbia, che ci ha voluti a tutti
i costi, nonostante i recenti danni subiti dall’alluvione. Di questa tappa c’è
chi ha detto che avrebbe dovuto essere cancellata per ragioni di “buon senso”.
Ma i primi a non aver avuto il “buon senso” di mettersi in un angolo a leccarsi
le ferite, i primi che hanno preso subito in mano una pala per gettar via il
fango che il destino gli ha buttato addosso, sono stati proprio gli olbiesi. Ci
hanno fatto trovare una struttura linda, accogliente e addirittura una nuova
pedana per superare gli scalini d’ingresso. Ora, a chi mi verrà a dire che non
si può abbattere uno scalino, non potrò che rinfacciare che degli alluvionati
che fino al giorno prima avevano la melma sino alle chiappe lo hanno fatto. Basta scuse:
rendetevi conto che davanti a simili esempi le scuse mi fanno vomitare!
Pensavo di scendere in Sardegna
per vendere delle copie, invece ho ricevuto talmente tanto da accumulare un
debito karmico enorme, che devo assolutamente pagare.
I miei genitori mi hanno
insegnato ad usare la lingua e mi hanno trasmesso quel sano fatalismo che permette
di non farsi spaventare, perché se deve succedere qualcosa può
succedere ovunque ed è meglio che succeda mentre ti diverti anziché quando ti
piangi addosso. Però è evidente che non tutti hanno avuto la fortuna di essere
mandati avanti - qualche volta a calci in culo - dalla mamma. E’ evidente nel
momento in cui ad un tour di presentazione di un libro sulla disabilità sono
presenti moltissimi normodotati e pochissimi disabili, nonostante le strutture
di accoglienza fossero ovviamente accessibili. Non faccio certo una colpa a
nessuno perché la Sardegna, per un disabile, è la classica bella e impossibile.
Tuttavia la Sardegna è uno degli Stati con più disabili, sebbene io ne abbia
incontrati pochi. Mi sono chiesta dove fossero e ho elaborato due ipotesi: o
sapevano che sarei arrivata io e si sono rifugiati in cima alle scale, per
essere sicuri di non essere raggiunti, oppure sono rimasti a casa propria, magari
a pubblicare post incazzosi su Facebook per l’inaccessibilità delle strutture.
Ed è qui che sbagliamo: finché
restiamo nelle nostre casette a inveire contro gli scalini, non costituiamo un
problema per nessuno, se non per la nostra felicità. Ma se vogliamo davvero
ottenere qualcosa, dobbiamo uscire di casa e - come dice il mio libraio
preferito Massimo Dessena – passeggiare sui coglioni della gente.
Ho percorso la Sardegna con Lucia
- l’unico Assessore alle politiche sociali al mondo che porta davvero il peso
dell’handicap (un peso che tra pranzi e cene sarde è lievitato di diverse
libbre) – e con Luana e Silvia, le mie editrici svitate che, nonostante i nomi,
giurano e spergiurano di non aver mai girato un film con Rocco Siffredi.
Quattro donne più temibili dei
Cavalieri dell’Apocalisse, che dove passavano abbattevano scalini e rimuovevano
auto parcheggiate abusivamente sui posteggi per disabili. Se dove passava
Attila non cresceva più l’erba, dove siamo arrivate noi spuntavano pedane
dimenticate in vecchi e angusti ripostigli.
Probabilmente Luana e Silvia non
avrebbero mai immaginato che pubblicare il libro di una disabile comportasse
anche imparare ad essere dalle brave badanti e non riuscire mai più ad entrare
in un locale senza chiedersi “Ma da qui
Engy ci passerebbe?”.
lo so che ho creato altri due mostri e
ne sono fiera.
L’unico modo per sensibilizzare i
bipedi verso le barriere architettoniche è camminare (metaforicamente) in mezzo
a loro.
Perché i normodotati non sono
cattivi, sono solo distratti.
Purtroppo i disabili sono troppo pochi
per cambiare il mondo e di questi pochi, ancor meno hanno la forza per lottare.
Se vogliamo ottenere qualcosa, anche i bipedi devono fare il lavoro sporco. Ma
come?
Durante il tuor sardo di
presentazione del libro “Mi girano le ruote” abbiamo dato vita a una campagna:
ADOTTA UNA BARRIERA ARCHITETTONICA E ABBATTILA.
L’unica cosa che chiediamo ad
ogni bipede e quadruruote d’Italia è di scegliersi un obiettivo mirato, uno
solo. Può essere uno scalino, un marciapiede senza scivolo, un bagno per
disabili usato come ripostiglio… non serve partire dalle grandi imprese
edilizie, basta cominciare dal panettiere, dall’edicola, dalla libreria, dalla
pizzeria… volendo addirittura da casa propria. Come? Chiedendo tutti giorni,
tutti quanti, la stessa cosa, per esempio: “perché
non mette una pedanina in legno per le sedie a rotelle?” Non hanno scuse: non gli si chiede
un’opera in muratura che potrebbe scontrarsi con i regolamenti dei centri
storici, basta uno scivolo rimuovibile. Non sono così intelligenti e
lungimiranti da capire che la popolazione invecchia e che si stanno via via
giocando una fetta di clienti sempre più ampia? Costruiamogliela noi a sti
morti di fame la pedana!
Oppure prenotate in comitiva in
un ristorante inaccessibile, portate con voi un disabile e, quando vi diranno
che non c’è la pedana, ma possono aiutarvi loro ad entrare, ditegli che
preferite migrare in stormo verso un altro ristorante, perché il vostro amico
sciancrato ha diritto quanto voi di entrare con dignità a mangiarsi una pizza.
E ripetete la scena ogni mese, finché l’oste non imparerà a farsi meglio conti.
E poi mandateci le foto del prima e dopo. Spedite a abbattiunabarriera@gmail.com il reportage della barriera che avete
adottato e ucciso: le pubblicheremo sulla Bacheca dei Miracoli! Non solo: nel
caso di esercizi commerciali, ci impegneremo ed organizzare gruppi di shopping
e serate goderecce, per premiare e per premiarci dopo ogni successo.
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