Che fare quando un disabile eccede nell'affrontare i suoi "svantaggi" sino al punto di trasformarli in "vantaggi"?
Questo è un tema che mi affascina, perché evidentemente è un problema per i normodotati più di quanto vogliano ammettere.
Partiamo dal presupposto che la moderna società (specie in Italia) non fa un gran che per fornire ai disabili occasioni di, non dico emergere, ma quanto meno accedere al consorzio bipede. Non solo le barriere architettoniche stentano a scomparire, ma ogni giorno vediamo sorgere fulgidi esempi di strutture moderne che non lasciano dubbi circa il fatto che, chi le ha progettate, non ha la più pallida idea di cosa sia un disabile. Quanto ai buoni propositi legislativi per l'integrazione sociale, credo che i più ne ignorino l'esistenza, altrimenti ci si pulirebbero direttamente le terga.
Personalmente, quando i pensieri mi tengono sveglia la notte, prendo in mano la mia copia rilegata, consunta dall'uso, della Legge 104/92. La leggo e la rileggo come fosse la favola della buonanotte, provando a immaginare il mondo fantastico in essa descritto. I miei due passaggi preferiti recitano:
adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali
provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e la organizzazione di trasporti specifici
Ma non sono io la sola a considerarla una favola. Ogni volta che scrivo a qualche gestore dei mezzi di trasporto pubblico, lamentandone la non accessibilità, cito codeste leggi e regolamenti e di solito mi rispondono: "See... buonanotte!"
Ma cosa accade quando, nonostante tutto, ce la fai?
Cosa accade se, dopo anni di lotte, sacrifici, delusioni, sconfitte e compromessi, arrivi comunque là dove arrivano altri normodotati senza sbattersi tanto?
Una possibilità, è che faremo la fine di Oscar Pistorius e di Michael Johnson. Saremo atleti amputati che, dopo aver lavorato su di sè al punto da accettare quel che sono e lavorare con quel che resta, si vedono negare la possibilità di vincere davvero.
Perché è questo il problema: vincere davvero.
Anche se un giorno verrà concesso loro di gareggiare con gli altri, ci sarà sempre qualcuno che, in caso di vittoria, dirà che non se la sono guadagnata VERAMENTE, perché partivano "avvantaggiati".
Non importa quanto questi atleti abbiano sofferto e lavorato più degli altri per arrivare dove sono arrivati. Non importa cosa abbiano perso, nè le lacrime, il sangue e il sudore aggiuntivi che hanno sputato: quando vincono, tutto ciò che vede un normodotato è il vantaggio aggiuntivo di due protesi in fibra di carbonio.
Mi chiedo quanti altleti siano oggi stimati semplicemente perchè hanno primeggiato dopandosi in modo più astuto. Quanti campioni amiamo semplicemente perchè non sappiamo a quali stratagemmi sono ricorsi per vincere?
Taluni paragonano gli arti di carbonio al doping. Eppure non mi pare che qualche atleta amputato abbia mai sentito il bisogno di nascondere il fatto che calzasse la sua sostanza dopante. Forse, infondo, avrebbero dovuto provare a farlo.
"Perchè gareggi con i pantaloni a zampa di elefante?"
"Ho così freddo che non mi sento più i piedi..."
Per come la vedo io, se un vantaggio c'è nell'indossare queste protesi durante una gara, allora dovrebbe essere calcolabile scientificamente. Stabiliamo che le protesi danno x% in più all'atleta e facciamolo partire con uno svantaggio proporzionale. Non sarebbe certo la prima né l'ultima volta che un disabile arriva comunque al traguardo nonostante un po' di handicap in più. Ma anche così, se mai dovesse vincere, nessun bipede gli riconoscerebbe davvero la vittoria.
Ci sarebbe sempre l'insinuazione che, se non fosse stato disabile, non sarebbe arrivato dov'è.
E sapete che vi dico?
E' maledettamente vero!
Giorno dopo giorno incontro normodotati che non hanno fatto nemmeno la metà delle cose che ho fatto io. Giorno dopo giorno non posso fare a meno di chiedermi cosa sarei se non fossi nata disabile e la risposta è invariabilmente: "sarei molto meno di così".
Dicono che l'essere umano, per dare il meglio di sé, abbia bisogno di sfide. Se le cose stanno davvero in questi termini, biologicamente parlando, siamo gli esemplari destinati a dare di più.
Per frequentare l'università, ho dovuto lottare con ottusi assistenti sociali, fare esposti, scrivere a ministri, vincere borse di studio con cui pagare auto e benzina, pregare Magnifici Rettori per far spostare lezioni da aule inaccessibili e ingraziarmi tutti i bidelli delle strutture per farmi dare le chiavi di bagni utilizzabili e ascensori.
Vi assicuro che studiare, confronto a tutto ciò, è stata una bazzecola.
Ciò nonostante, c'è chi dice che, se oggi ho un lavoro e nemmeno particolarmente malvagio, è perchè mi hanno assunta come categoria protetta.
Di solito rispondo che, se vogliono lo stesso trattamento preferenziale, mi offro di passargli sulla colonna vertebrale con una carrozzina da 80 chili.
Posso però capire anche le reazioni dei normodotati di fronte a certi disabili: deve essere frustrante pensare che uno che manco cammina da solo riesca a superarti.
Essere disabile non è facile, non è divertente e sicuramente non è un'opzione che valuteresti se avessi la possibilità di scegliere. Ma alcune cose della vita accadono e basta e a quel punto hai solo due possibilità: arrenderti o provarci comunque.
E non importa cosa ne pensino i normodotati. Non importa che commentino ogni nostro successo con un "nonostante il suo handicap". Non importa neppure che pensino che, se siamo arrivati dove siamo arrivati, è perchè qualcuno o qualcosa ci ha "avvantaggiati" in virtù della nostra condizione. Noi ogni giorno vinciamo. Vittorie piccole o grandi che siano, ma comunque indicative del fatto che non ci siamo mai arresi.
Nel bene e nel male, i disabili sono ciò che sono, non "nonostante il proprio handicap", ma GRAZIE al proprio handicap.
E allora lasciamo ai bipedi le loro piste di atletica, perché quando sei meglio di loro, dovresti smetterla di cercare ancora di dimostrare di essere come loro.
Bipedi, avete così da correre per raggiungerci! ;)
N.d.r.: se continuerò a esprimermi per aforismi e assunti universali, dovrò convincermi a fondare una nuova religione.
Partiamo dal presupposto che la moderna società (specie in Italia) non fa un gran che per fornire ai disabili occasioni di, non dico emergere, ma quanto meno accedere al consorzio bipede. Non solo le barriere architettoniche stentano a scomparire, ma ogni giorno vediamo sorgere fulgidi esempi di strutture moderne che non lasciano dubbi circa il fatto che, chi le ha progettate, non ha la più pallida idea di cosa sia un disabile. Quanto ai buoni propositi legislativi per l'integrazione sociale, credo che i più ne ignorino l'esistenza, altrimenti ci si pulirebbero direttamente le terga.
Personalmente, quando i pensieri mi tengono sveglia la notte, prendo in mano la mia copia rilegata, consunta dall'uso, della Legge 104/92. La leggo e la rileggo come fosse la favola della buonanotte, provando a immaginare il mondo fantastico in essa descritto. I miei due passaggi preferiti recitano:
adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali
provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e la organizzazione di trasporti specifici
Ma non sono io la sola a considerarla una favola. Ogni volta che scrivo a qualche gestore dei mezzi di trasporto pubblico, lamentandone la non accessibilità, cito codeste leggi e regolamenti e di solito mi rispondono: "See... buonanotte!"
Ma cosa accade quando, nonostante tutto, ce la fai?
Cosa accade se, dopo anni di lotte, sacrifici, delusioni, sconfitte e compromessi, arrivi comunque là dove arrivano altri normodotati senza sbattersi tanto?
Una possibilità, è che faremo la fine di Oscar Pistorius e di Michael Johnson. Saremo atleti amputati che, dopo aver lavorato su di sè al punto da accettare quel che sono e lavorare con quel che resta, si vedono negare la possibilità di vincere davvero.
Perché è questo il problema: vincere davvero.
Anche se un giorno verrà concesso loro di gareggiare con gli altri, ci sarà sempre qualcuno che, in caso di vittoria, dirà che non se la sono guadagnata VERAMENTE, perché partivano "avvantaggiati".
Non importa quanto questi atleti abbiano sofferto e lavorato più degli altri per arrivare dove sono arrivati. Non importa cosa abbiano perso, nè le lacrime, il sangue e il sudore aggiuntivi che hanno sputato: quando vincono, tutto ciò che vede un normodotato è il vantaggio aggiuntivo di due protesi in fibra di carbonio.
Mi chiedo quanti altleti siano oggi stimati semplicemente perchè hanno primeggiato dopandosi in modo più astuto. Quanti campioni amiamo semplicemente perchè non sappiamo a quali stratagemmi sono ricorsi per vincere?
Taluni paragonano gli arti di carbonio al doping. Eppure non mi pare che qualche atleta amputato abbia mai sentito il bisogno di nascondere il fatto che calzasse la sua sostanza dopante. Forse, infondo, avrebbero dovuto provare a farlo.
"Perchè gareggi con i pantaloni a zampa di elefante?"
"Ho così freddo che non mi sento più i piedi..."
Per come la vedo io, se un vantaggio c'è nell'indossare queste protesi durante una gara, allora dovrebbe essere calcolabile scientificamente. Stabiliamo che le protesi danno x% in più all'atleta e facciamolo partire con uno svantaggio proporzionale. Non sarebbe certo la prima né l'ultima volta che un disabile arriva comunque al traguardo nonostante un po' di handicap in più. Ma anche così, se mai dovesse vincere, nessun bipede gli riconoscerebbe davvero la vittoria.
Ci sarebbe sempre l'insinuazione che, se non fosse stato disabile, non sarebbe arrivato dov'è.
E sapete che vi dico?
E' maledettamente vero!
Giorno dopo giorno incontro normodotati che non hanno fatto nemmeno la metà delle cose che ho fatto io. Giorno dopo giorno non posso fare a meno di chiedermi cosa sarei se non fossi nata disabile e la risposta è invariabilmente: "sarei molto meno di così".
Dicono che l'essere umano, per dare il meglio di sé, abbia bisogno di sfide. Se le cose stanno davvero in questi termini, biologicamente parlando, siamo gli esemplari destinati a dare di più.
Per frequentare l'università, ho dovuto lottare con ottusi assistenti sociali, fare esposti, scrivere a ministri, vincere borse di studio con cui pagare auto e benzina, pregare Magnifici Rettori per far spostare lezioni da aule inaccessibili e ingraziarmi tutti i bidelli delle strutture per farmi dare le chiavi di bagni utilizzabili e ascensori.
Vi assicuro che studiare, confronto a tutto ciò, è stata una bazzecola.
Ciò nonostante, c'è chi dice che, se oggi ho un lavoro e nemmeno particolarmente malvagio, è perchè mi hanno assunta come categoria protetta.
Di solito rispondo che, se vogliono lo stesso trattamento preferenziale, mi offro di passargli sulla colonna vertebrale con una carrozzina da 80 chili.
Posso però capire anche le reazioni dei normodotati di fronte a certi disabili: deve essere frustrante pensare che uno che manco cammina da solo riesca a superarti.
Essere disabile non è facile, non è divertente e sicuramente non è un'opzione che valuteresti se avessi la possibilità di scegliere. Ma alcune cose della vita accadono e basta e a quel punto hai solo due possibilità: arrenderti o provarci comunque.
E non importa cosa ne pensino i normodotati. Non importa che commentino ogni nostro successo con un "nonostante il suo handicap". Non importa neppure che pensino che, se siamo arrivati dove siamo arrivati, è perchè qualcuno o qualcosa ci ha "avvantaggiati" in virtù della nostra condizione. Noi ogni giorno vinciamo. Vittorie piccole o grandi che siano, ma comunque indicative del fatto che non ci siamo mai arresi.
Nel bene e nel male, i disabili sono ciò che sono, non "nonostante il proprio handicap", ma GRAZIE al proprio handicap.
E allora lasciamo ai bipedi le loro piste di atletica, perché quando sei meglio di loro, dovresti smetterla di cercare ancora di dimostrare di essere come loro.
Bipedi, avete così da correre per raggiungerci! ;)
N.d.r.: se continuerò a esprimermi per aforismi e assunti universali, dovrò convincermi a fondare una nuova religione.
"se continuerò a esprimermi per aforismi e assunti universali, dovrò convincermi a fondare una nuova religione."
RispondiEliminaNel caso... posso aderire senza che mi passi sulla spina dorsale con la carrozzina? O_O
Ilaria
Nel mio breve periodo "diversabile”, non mi sono scontrato con un millesimo delle difficoltà che hai dovuto affrontare tu, però posso rispondere ad un quesito a cui tu non riuscirai mai a rispondere: "Cosa farei se non fossi nata disabile?" La domanda m’ha fatto pensare e paragonare i 25 anni normodotati a questi ultimi 2 da storpio. Secondogenito in una famiglia normale - per quanto "normale" possa definirsi ogni famiglia - i primi anni son trascorsi come per altri bambini: scuola, compiti, svago per il resto del giorno con mio fratello, qualche danno e le botte di mia madre che, parallelamente alla nostra crescita, diventavano più forti. All'inizio era lo schiaffo standard poi, quando hanno cominciato a farle male le mani senza risultato, è arrivata la ciabatta – di cui mia madre era campionessa indiscussa di lancio, riuscendo pure a fargli fare le curve per inseguire la nostra rotta. Per ultima è arrivata la scopa: quando l'ha spezzata sulla schiena di mio fratello senza farci smettere, ha capito che non c'era più nulla da fare. Siamo stati figli molto vivaci, ancora oggi mi chiedo come abbia fatto lei sopravvivere. Con l'inizio delle scuole medie, ho iniziato a praticare uno sport purtroppo sconosciuto in Italia, in ambito maschile: la ginnastica artistica. Grazie a questo, ho scoperto molto: la consapevolezza del duro lavoro necessario, l'importanza della disciplina, la soddisfazione per un buon risultato dopo mesi di allenamenti. Ma soprattutto: 1) La bastardaggine degli amici: "Fai ginnastica artistica? Allora ti metti il Tu-tù e saltelli qua e là con palla e nastrino". 2) Il mare di figa che hai intorno, essendo l'unica squadra maschile ai campionati nazionali. Prendetemi pure per il culo mentre giocate a quello stupido sport chiamato calcio e fate a gara a chi ce l'ha più lungo sotto le docce. Finite le scuole d'obbligo, ho smesso gli studi per lavorare. Ho sempre pensato che già troppa gente si dedicava alla cultura e, siccome un lavoro in famiglia l'avevo, perché non approfittarne? E così sono arrivato a 25 anni: un normale ragazzo con un lavoro, un gran gruppo di amici, una splendida ragazza - che ancor oggi è al mio fianco e per questo non smetterò mai di ringraziarla -, una dedizione alla festa non indifferente, ma soprattutto un ego e una vanità al di sopra della media. Del resto potevo permettermelo col mio “bel visino”. Ora, da disabile, guardo alla mia "vita precedente" e in certe cose devo dire che un po' mi deludo. Avendo molto più tempo libero, mi sono dedicato all'informazione, alla lettura ed alla cultura, perché ora so che sono importanti. Ho già cominciato a litigare con docenti & Co. per far valere i miei diritti. Fortuna che, come te, anche se disabile e all'apparenza impotente, a parole so essere molto persuasivo - per non dire cattivo quando mi fanno superare il limite. Oltre a ciò, ho cominciato a rispettare di più le persone, specie familiari ed amici che prima, seppur con affetto, trattavo in maniera più superficiale. Probabilmente il mio ego mi faceva pensare un po' superiore agli altri. Il problema sono le persone estranee che, chissà per quale motivo, proprio non riescono a farsi una manciata di c****i loro - volevo scrivere “cazzi” ma mi sembrava troppo volgare. Senza neanche presentarsi, ti chiedono “cosa è successo”, come fai a fare certe cose o addirittura vengono a dirti che, fossero al tuo posto, s’ammazzerebbero. Cos'è questo un consiglio? Mi stai forse dicendo che sono un peso per lo Stato e per la mia famiglia e quindi è meglio se la faccio finita? Fortuna mia, non mi ritengo tale e rispondo loro che pure io, avessi la faccia di culo come la loro, non so se riuscirei a farmi vedere in giro. Detto ciò, ovviamente non sostengo d’essere felice di esser diventato disabile: stavo bene nella mia normale ignoranza. Ciò che però posso affermare, con assoluta sicurezza, è che ora sono una persona migliore! E di questo ne sono fiero.
RispondiEliminaEnrico, posso solo immaginare che il senso di "perdita" sia più sentito quando non sei nato geneticamente modificato, come la sottoscritta. Oppure no: quando si tratta di normodotati, attuali o passati, posso solo immaginare come ci si senta all'idea del "mutamento di stato". Insomma, se io domani diventassi cieca, non credo che starei lì a ringraziare nessuno per l'opportunità che mi viene data di esplorare gli altri sensi. Però non mi ammazzerei: sarei solo ancora più incazzata.
RispondiEliminaTuttavia credo che l'avere tutto difficilmente ci spinga a migliorare oltre limiti ristretti. Ogni volta che progrediamo, è perchè avvertiamo dentro di noi qualcosa che manca, ma spesso questo non basta. Ciò che mi dà la spinta vera è il senso di ingiustizia. Non è giusto che per noi sia più difficile. Non è giusto che la società si culli nel "poveri loro", con l'idea che tutto ciò che ci è accaduto sia brutto, ma che infondo non li riguarda. Non è giusto che noi si accetti tutto questo con rassegnazione. ABBIAMO IL DOVERE MORALE DI ROMPERE I COGLIONI, non solo per rendere le nostre vite migliori, ma anche per coloro che pensano che la disabilità non li riguardi e domani atterreranno sulla vertebra sbagliata o saranno semplicemente troppo vecchi per camminare.
Se tutto va bene, noi rappresentiamo il futuro di chi non muore prematuramente. E' questo che penso ogni volta che mi sembra di dare troppo disturbo anche per delle minchiate, come andare al cinema.
Per fortuna, quanto a rompere i coglioni, non sono la sola e nemmeno la più brava, se un neo-handicappato come Enrico Cavallera può imparare così presto ;)