sabato 27 gennaio 2018

Se loro sono nazisti è colpa mia

Un mio studente ha fatto parte per un po' di un gruppo di estrema destra. Mi ha spiegato quanto sia facile entrarci e quanto sia difficile uscirne. Ha usato parole come "setta" e "lavaggio del cervello". Mi ha però anche descritto con un pizzico di nostalgia quanto ci si senta forti lì dentro e con un'identità finalmente definita.
Oggi si vergogna profondamente di ciò che era fiero di essere.
Le soluzioni facili alla solitudine e al disagio interiore fanno stare meglio subito, ma per fortuna non per sempre. Quel che resta dopo essere usciti da queste sette, oltre al ritorno della solitudine e del disagio, è una bella aggiunta di senso di vergogna per ciò che si è pensato, detto, fatto. 
In fondo, l'unico suo vero errore, è stato frequentare le persone sbagliate quando aveva disperatamente bisogno di sentirsi parte di qualcosa. 
Quelli sbagliati TI TROVANO SEMPRE: sono avvoltoi che sorvolano le nostre città e fiutano i bisogni altrui a chilometri di distanza. Ti portano nel loro nido sicuro di certezze. Ti danno uno scopo. Ti dicono che sei bravo, bello e forte... non come lo schifo che si vede in giro oggigiorno. Ti dicono chi sei.
Ne ha parlato con i suoi nuovi amici, di tutt'altra pasta.
Da persona che giudicava male gli altri è diventato una persona che si è esposta al giudizio degli altri. 
"Il nemico siede tra di noi, mangia alla nostra tavola, condivide il nostro piatto." - questo devono aver pensato i suoi nuovi amici.
Avrebbe potuto non rischiare: tenersi dentro il suo passato, senza esporsi al pericolo di essere guardato con occhi diversi. Ma ciò che è oggi, gli impedisce di costruire relazioni superficiali, basate sulla condivisione di apparenze.
I suoi nuovi amici hanno stentato a capire, ma non l'hanno giudicato. Hanno però chiesto, voluto sapere come fosse potuto succedere e hanno compreso che non era poi così incredibile, date le condizioni in cui si trovava allora. Avrebbero potuto esserci loro.

l nemico siede tra di noi, mangia alla nostra tavola, condivide il nostro piatto, perché il nemico è dentro di noi, è uno dei nostri possibili Sé.

Ha compiuto questo percorso tutto da solo e ne è fiero, ma non ancora abbastanza.

Io invece davanti a lui mi sento sempre un po' in colpa: perché se i giovani a un certo punto della vita deragliano su strade orribili, è perché gli unici ad essere lì quando c'era bisogno erano quelli sbagliati. 
Giudicare ciò che diventano è sempre più facile che esserci quando si guardano intorno in cerca di qualcuno che gli mostri ciò che possono essere.

L'unico modo per impedire che la storia si ripeta, non è giudicare, ma esserci nella storia, nella comunità. Quanti ebrei lo fanno? Quanti disabili? Dimentichiamo sempre che se non lavoreremo noi per questa gioventù, alla fine pagheremo comunque noi.

Basta dare la colpa a chiunque altro: tv, politica, internet, social...
Siamo solo bravi a dire che i giovani di oggi non hanno aspirazioni, non sanno cosa vogliono, sono vuoti.
Sì, sono vuoti. Ma perché io non mi sentivo così tanto vuota alla loro età? 
Perché avevo davanti suore e preti che mi dicevano che avrei potuto aspirare ad essere "santa". 
Avevo davanti medici e infermieri, che mi mostravano che avrei potuto studiare ed aiutare gli altri. 
Avevo davanti insegnanti che mi facevano amare i libri, la scienza, che credevano in me e mi dicevano che avrei potuto continuare a studiare perché ero proprio brava. 
Avevo davanti dei genitori che facevano tanto per i loro figli, ma che non si nascondevano dietro alla scusa dei loro problemi per non esserci anche per gli altri: aiutare l'asilo, il centro di riabilitazione, il parente malato; accogliere in casa chiunque perché dove si mangia in quattro, si mangia anche in cinque e dove si mangia in cinque, ci sta anche il sesto.
Avevo davanti tante cose che avrei potuto diventare, tutte buone. E alla fine ho preso un po' di qua e un po' di là, costruendo me stessa.
Nell'Università dove lavoro c'era uno studente che aveva bisogno di aiuto. Il punto è: io dove ero?


mercoledì 24 gennaio 2018

DEPRESSIONE: COSE DA EVITARE, GRAZIE

Un tuo amico o parente è depresso e tu, da brava persona quale ritieni di essere - come chiunque di noi (Hitler incluso) - vorresti aiutarlo? Ecco, prima di fare qualsiasi cosa, ricordati sempre che la via per l'Inferno è lastricata di buone intenzioni. Secondariamente, se proprio non intendi desistere dal proposito di essere di aiuto, cerca almeno di non fare le seguenti cose:

1) Esortarlo a tirarsi su.
Lo sa da solo che dovrebbe tirarsi su, ma se sapere che si dovrebbe fare una cosa fosse sufficiente a saperla fare, pure io camminerei da un pezzo.

2) Portargli esempi di gente che sta peggio di lui e comunque non si abbatte.
Cioè, puoi pure farlo, ma solo se vuoi accompagnare la sua depressione con un contorno di senso di inadeguatezza e fallimento totale.

3) Consigliargli i Fiori di Bach, che con te han fatto miracoli.
Se su di te hanno funzionato è perché sei suggestionabile e tendi a confondere la depressione con la tristezza. Per fortuna i Fiori di Bach sono la miglior cura per i disturbi da autosuggestione. Sulla depressione vera invece non si registra alcun effetto clinicamente testato, se non l’acuimento del senso di sconforto per il fatto che nessun rimedio sembra funzionare.

4) Dirgli che non ha niente.
Per secoli non sapevamo che l'epilessia fosse causata da un problema di trasmissione elettrica del cervello. A dire il vero, c'è stato un buio periodo dell'umanità in cui non si sapeva neppure cosa fosse l'elettricità, figuriamoci sapere che ne produciamo anche noi, seppure con molto meno successo delle anguille. Nei secoli oscuri di cui sopra, tutti hanno dato grande prova di acume umano dicendo che gli epilettici erano indemoniati e provando a scacciare il demonio dai loro corpi. Memori del passato, oggi ti sono date due scelte: affermare che un depresso non ha nulla solo perché non vedi nessuna manifestazione organica, oppure accettare che alcune cose esistono pure se non le puoi percepire con i tuoi sensi. Cose tipo la serotonina, per dire... 

5) Dirgli che quando si sente giù, deve chiamarti.

Soprattutto se quando ti chiama gli rifili i punti 1), 2), 3) e 4)

Quindi che fare?

Se è vera depressione, la risposta la conosci già: accompagnarlo da un professionista qualificato.
Se è solo tristezza, applica con tranquillità i punti 1), 2), 3), 4) e 5): se ti manderà a quel paese sostenendo che non capisci un tubo, allora guarirà da solo nel giro di qualche giorno.