venerdì 21 giugno 2013

Disabile in cerca di parcheggio? Devi essere: intelligente, sveglio, alto


Anche i fratellini di Engy, nel loro piccolo, s'incazzano...

Cara Redazione di VareseNews, sono Simone e mi conoscete bene. Nella vita ho avuto tre grandi sfortune: ho un tesserino da pubblicista, faccio il pendolare da Cairate a Milano e, delle tre la meno drammatica, sono un portatore d'handicap su sedia a rotelle. 

Ogni giorno prendo un treno per andare a Milano e molto spesso mi trovo a dover prendere il Malpensa Express, per la tratta Malpensa-Cadorna. Sì, lo so, per una persona che vive a Cairate ci sono treni molto più comodi, ma quando faccio gli "straordinari" e torno a casa dopo le 21, il Malpensa Express è l'unico treno accessibile disponibile nella modernissima Lombardia.

Dato che mi piace lavorare, a volte finisco più tardi del solito e mi trovo spesso a prendere il treno da o per Malpensa. Oggi voglio raccontarvi l'affascinante test d'abilità che ogni disabile deve affrontare per parcheggiare un'auto e prendere il Malpensa Express.

- Non credere di poter parcheggiare dove vuoi. Se non vuoi farti scaricare al volo al parcheggio breve sosta devi parcheggiare nei posti per disabili al parcheggio APCOA, e sfido chiunque a capire facilmente dove siano. Io ci ho messo due mesi e non sarò Einstein ma una laurea me la sono anche presa, quindi almeno all'intelligenza media penso di arrivarci. I cartelli sono quelli che sono (cioè poco visibili) le modalità di "concorso" sono scritte in legalese e le indicazioni all'interno dell'aeroporto sono praticamente nulle. 

- Quando torni con il treno e vuoi ritirare la tua auto, non puoi mica uscire come sei entrato. No. Devi andare al punto pagamenti APCOA e devi consegnare: il tagliando disabili e la tua carta d'identità. Ora immaginate mio padre: mi accompagna in stazione ma poi non può uscire, perché la mia carta d'identità ce l'ho io e me la porto a Milano. Secondo APCOA lo dovrei portare via con me, oppure farmi lasciare in mezzo alla strada e non parcheggiare. 

- Voi dite: lascia a tuo padre una fotocopia della tua carta d'identità. No, perché APCOA vuole anche due firme del portatore d'handicap. Non una, due. Firme che, tra l'altro, devo fare sulle ginocchia perché la biglietteria di APCOA mi vede a malapena dal naso in su, dato che è ben più alta di una sedia a rotelle. Ma non ci formalizziamo. 

 È finita? No, affatto. Adesso c'è una grande novità che rende il gioco ancor più divertente. Mercoledì sera mi hanno chiesto una cosa in più: serve anche la carta di imbarco.  Stupito dalla novità e, incomprensibilmente, anche un pochino seccato, chiedo chiarimenti. "Siamo spiacenti, il nuovo regolamento chiede anche la carta di imbarco", mi dice l'addetto indicandomi un foglietto storto attaccato con lo scotch a un muro dietro la sua testa. Sarà perché sono basso ma io quel foglietto mica l'ho visto e non sono proprio sicuro che fuori dal parcheggio ci fossero manifesti su questa grande novità (ma, voglio dire, a malapena si capisce dove siano i parcheggi, cosa vuoi pretendere?). Dopo qualche minuto di discussione e, lo ammetto, dopo aver fatto scivolare inavvertitamente il tesserino da pubblicista, mi viene detto: "Ah, allora basta il biglietto del treno". I disabili non pagano il biglietto del treno, quindi non ce l'ho. Mi viene un colpo di genio e rilancio con una Tessera Regionale di Circolazione per i Disabili che tiro fuori impolverata dalla giacca (sarà strano, ma in vita mia nessuno aveva mai osato chiedermela). Alla fine me la sono cavata ma, lasciatemelo dire, non è stato piacevole.

Il problema non è non pagare, ma pare che il parcheggio sia un mio diritto, almeno fino a quando non ci saranno navette accessibili per parcheggiare altrove. Non capisco perché APCOA ora chieda anche la carta d'imbarco: vorranno assicurarsi che io abbia viaggiato bene? Si offrono volontari a prendermi le valigie? Hanno paura che i disabili vogliano arricchirsi segretamente prestandosi come lasciapassare umani ai viaggiatori di Malpensa? Mistero. 
Il parcheggio è solo per disabili che "volano"? Quindi chi prende il treno dove deve parcheggiare? 

Al di là di questa novità della carta d'imbarco, che tra l'altro gradirei venisse comunicata meglio e estesa esplicitamente al servizio di treni, mi chiedo se sia davvero necessario complicare la vita ai portatori d'handicap con tutta questa burocrazia. Tre documenti e due firme, manco avessi vinto la lotteria. C'è chi è costretto a parcheggiare lì tutti i giorni: pensate, è come dover fare la fila alle Poste ogni volta che tornate a casa dal lavoro. 

Sono sicuro che domani APCOA si scuserà e mi dirà che purtroppo è necessario fare così o che non è colpa loro. O che sono matto e tutto questo non è mai accaduto. Le scuse le rifiuto in anticipo, sono un utente non un amico, me ne faccio poco delle scuse. Che sia necessario non posso negarlo con certezza, ma sono stato in paesi più evoluti (tipo Germania, Francia, Stati Uniti, Canada… il modernissimo Egitto!) e non ho mai trovato modalità di parcheggio più complesse. Ma avete ragione, scusatemi, siamo in Malpensa mica in un grande aeroporto europeo. Più che le scuse mi aspetto solo modalità di parcheggio più semplici e chiare: volete fare una tessera ai disabili? Volete accontentarvi del tesserino che dice già tutto e che funziona in qualunque altro parcheggio italiano? Volete mandarli in un altro parcheggio? Volete mandarli a casa? Fate qualunque cosa, perché così, al momento, siete solo imbarazzanti.

Un utente affezionato (non del Malpensa Express o di APCOA, ma di VareseNews)

http://www3.varesenews.it/comunita/lettere_al_direttore/disabile-in-cerca-di-parcheggio-devi-essere-intelligente-sveglio-alto-266178.html

sabato 15 giugno 2013

Chi disabile si fa, il lupo se lo mangia

Molti disabili non sanno stare al mondo e la disabilità, ahinoi, spesso c'entra solo in parte. 
Di solito c'entrano di più dei genitori iperprotettivi, mancanza di fiducia e autostima.

Partiamo da mamma e papà. 
Innanzi tutto sono contraria a definire "iperprotettivi" quei genitori che mettono i figli sotto una campana di vetro, si sostituiscono in tutto e per tutto e cercano di evitare loro ogni possibile problema e disagio emotivo. Questi non sono genitori iperprotettivi, perché non insegnare ai figli a cavarsela da soli, significa non proteggerli dal futuro. La vita è piena di problemi e disagi emotivi, ma non credo che vivere sotto una campana di vetro sia molto meglio. 

Proteggere tuo figlio da tutto e tutti, fare al posto suo, evitare che affronti le cose della vita in prima persona, tra l'altro, significa una sola cosa: non credi che tuo figlio possa farcela.

I genitori sono il nostro specchio: come puoi vederti forte, coraggioso e bello, se mamma e papà pensano che tu sia il gobbo di Notre Dame? 
Certo, indubbiamente la vita ti fornisce poi altri specchi, ma la strada verso l'autostima a quel punto è tutta in salita.

Non so quante volte ho avuto paura di provare: addentrarmi da sola in paese con una carrozzina elettrica, iscrivermi a un'università a due ore da casa, salire su un aereo per l'America e dipendere per tutta la vacanza da persone conosciute il giorno stesso, girare il mondo con una sola amica o un solo fidanzato, cambiare lavoro e usare da sola un treno che ogni giorno mi porta a chilometri di distanza dalle persone che possono aiutarmi. 

Ho avuto paura di cominciare tutte le cose più belle della mia vita.

Ogni volta ho pensato di fermarmi e ogni volta mia madre mi diceva: "Sai che a me le storie non vanno. Lo fanno tutti, puoi farlo anche tu. Puoi morire? No. Tutto il resto si risolve in qualche modo. Non stai mica andando in guerra!"

Il bello è che, se mi avessero mai proposto di andare in guerra, la sua risposta probabilmente sarebbe stata: "Ma se ci vanno tutti in guerra e non è mai morto nessuno!"

Se ci crede lei, io non posso non crederci, anche quando mi sforzo di farmi prendere dai patemi.

Giorno dopo giorno, quando ho paura, mi chiedo qual sia la cosa peggiore che mi possa capitare provando. Se tra le opzioni, la morte risulta improbabile, la faccio.

Dopo tante esperienze, mi son sempre pentita solo di quelle non tentate.

Ma soprattutto, mamma non ha mai fatto il "lavoro sporco" al posto mio, quando avevo l'età e le competenze per farlo.

"I bambini mi prendono in giro."
"Ce l'hai la lingua? Usala."

"Non posso andare alla partita di basket con gli altri, perché il palazzetto non è accessibile."
"Ti hanno insegnato a scrivere? Manda un reclamo."

"Da settimane non funziona la pedana del treno."
"Sai rompere i coglioni? Ma che te lo chiedo a fare ..."

Ma a quanto pare, i miei genitori sono delle mosche bianche. Pare che la prassi comune sia considerare i propri figli disabili (e a volte non solo quelli), come creature malriuscite e sventurate, che possono stare in questo mondo solo finché ci saranno mamma e papà o grazie alla compassione altrui. 
Da quel che vedo, spesso le usanze di allevamento consistono nel trasmettere ai figli l'idea che non si deve alzare troppo la voce, perché ciò che ti viene dato è "un favore" e non un diritto e, magari, se chiedi di più, finisce che ti tolgono anche il poco che hai.

Ora, non sono mica Giovanna D'Arco e sicuramente non son qui a guidare folle di persone su sedia a rotelle in battaglia. Probabilmente lascerei i disabili con scarsa autostima nel loro brodo, se non fosse per il fatto che proprio la loro rassegnazione e la loro scarsa autostima rovina anche la mia di vita.

E sì, perché ogni volta che cerco di fare qualcosa per migliorare la vita mia e della specie "Homo Rotolans", salta sempre fuori il solito discorso:

"Guardi che è solo lei che si lamenta. Tutti gli altri non hanno mai sollevato problemi."

Il punto è che spesso "tutti gli altri" nemmeno ci provano.
"Tutti gli altri" stanno a casa, con mamma e papà, perché hanno rinunciato senza nemmeno provare.
"Tutti gli altri" nemmeno s'incazzano perché li sto insultando e a me piacerebbe lo facessero, dimostrando almeno di essere ancora vivi.

Il problema è che "tutti gli altri" si meritano di vivere in un paese incivile, dove le persone vengono discriminate solo per il fatto che per andare da A a B usano quattro ruote, un girello o un bastone, anziché due gambe.

Io però non me lo merito.
Quindi, vedete di darvi una svegliata, altrimenti non siete affatto meglio dei politici che negano i fondi per l'assistenza domiciliare.

Di che avete paura esattamente?
Temete che vi tolgano cosa, che non avete praticamente un cazzo?

I trasporti, l'assistenza, l'accessibilità ai locali? O voi vivete in un Paese diverso dal mio, oppure non mi è affatto chiaro cosa temete vi tolgano. L'assegno di accompagnamento? Guardate che ve lo stanno già portando via, perché tanto chi non reclama vuol dire che sta bene.

Tutti che poi si lamentano con me di problemi e discriminazioni, ma che non hanno il coraggio di firmare un esposto all'Amministrazione per chiedere un servizio di trasporto migliore. 

"Infondo, non sono mica obbligati a darci il trasporto. Se facciamo casino, magari ci toglono anche quello che c'è."

Io lo so qual è il problema: vi hanno insegnato che sono meglio 1000 giorni da pecora che uno da leone, ma nessuno vi ha mai detto che se ne posso pure avere 2000 da volpe.

Io è una vita che aspetto che mi licenzino dal lavoro perché pretendo di poterlo svolgere con le pari opportunità date agli altri. Nessuno mi ha però mai minacciato di togliermi quello che ho per il semplice fatto di aver richiesto qualcosa che è un diritto sancito. Ho un sacco di amici avvocati e giornalisti che, sotto sotto, sperano che un giorno accada qualcosa di simile. Persino il mio editor lo spera.

Eppure, minacce che ad altri vengono fatte intendere in modo più o meno velato, non mi sono mai state rivolte. 

Sarà fortuna, o sa ra che chi disabile si fa, il lupo se lo mangia.