lunedì 22 aprile 2013

La vita è un dono da indossare, mica da riporre nell’armadio

I disabili sono in assoluto la categoria sociale che mi fa più incazzare al mondo.

Non che ne veda molti, dove sto io, perché prendere i mezzi di trasporto pubblico e arrivare in università non è mica facile.
La mia famiglia sarà pure strana, ma non matta: è una delle poche al mondo in cui si possano annoverare due figli su sedia a rotelle che fanno i pendolari Varese-Milano.
OK, sì, forse siamo tutti matti.
Chi ce lo fa fare? Nessuno. Anzi, quasi tutti - a volte genitori inclusi - ci scoraggiano dal perseverare su questa strada autolesionista.
Cosa ce lo fa fare? Essenzialmente sogni, aspirazioni, ambizioni: più o meno tutte quelle cose per cui vale la pena vivere.
Però è difficile. Ho detto difficile, non impossibile!
Ma come si fa concretamente?
Non è questione di soldi. Fossi ricca, vi pare che userei i mezzi pubblici?!
Non è questione di assistenza statale. Lo Stato preferirebbe pagare la salata retta di un ricovero piuttosto che sganciare qualche euro in più per l’assistenza alla persona.
Non è questione di volontariato. I volontari ci sono un giorno forse e l’altro no, perché tutti hanno una vita, tutti a parte qualche disabile.
E allora che ci vuole?
Essenzialmente è questione di rapporti sociali, non necessariamente sereni con tutti.
Se Dio esistesse, tutti i disabili avrebbero almeno le palle.
Esse servono per non aver paura della propria ombra e pretendere quello che le nostre leggi promettono sulla carta: integrazione.
Quando un guidatore di autobus/tram tira fuori la pedana per fare salire un disabile, non sta facendo un favore a nessuno: sta facendo il suo lavoro.
Quando un Capotreno chiama l’assistenza per sistemare la pedana guasta del treno su cui devi salire, non lo fa perché è buono, ma perché fra le mansioni per cui viene pagato, ci sta pure questa.
Quando chiami per prenotare l’assistenza su un aereo e ti dicono che non possono trasportare una carrozzina a motore, leggigli il regolamento della Compagnia, cita il pezzo in cui si evince che sbaglia. Se insiste,  ripetigli la sua matricola e domanda se “no” è la sua risposta definitiva. Perché è pagato per applicare il regolamento della Compagnia, anche quando deve compilare scartoffie in più per farlo.
Se costoro non hanno voglia di muovere il culo o fanno finta di non vederti alla fermata o ti suggeriscono di prendere un altro mezzo, va fatto un esposto.
Non serve incazzarsi col mondo: prendi il numero della vettura/matricola, segnati l’orario e scrivi al gestore del servizio prima, ai giornali, dopo la terza recidiva (se sei un tipo paziente).
Non c’è da sentirsi in colpa, semmai incazzati che si debba perder tempo perché un lavativo è stato assunto al punto di persona  più meritevole.
Non è divertente: è necessario.
Ovvio che un grazie non si nega a nessuno: se lavora ed è pure gentile con me, ci mancherebbe!
Se fa il suo dovere e manco mi saluta … beh, me ne farò una ragione, di certo non un esposto.
Troppo comodo ora salire tutti sul mio treno superaccessibile, dopo che io ho litigato anni per poter viaggiare quasi libera come un bipede. Per altro, se nemmeno lo prenoti, passi la prima volta, che magari non conosci la procedura e io faccio la voce grossa per te. Ma la seconda volta in cui mi fai perdere tempo perché sul cazzo di treno ci sono due disabili anziché uno e il Capotreno si fa prendere da disabilofobia … per quanto mi concerne, o ci litighi tu o stai sulla banchina.
Non son mica la Giovanna D’Arco degli sfigati!
Disabili, mio tormento e mia delizia: non potete sempre contare sul buon cuore delle persone o sul fatto che altri combatteranno per i vostri interessi.
Provate a guardare i mendicanti per strada e fatevi due conti: con la pietà si ottengono solo spicci.
E voi non state mica chiedendo la carità! State chiedendo ciò che le leggi del vostro Paese già dichiarano sulla carta: che avete il DIRITTO d’integrarvi.
Io aggiungerei che ne avete pure il DOVERE!
Soprattutto voi, disabilini cattolici: troppo comodo starsene con le mani in mano, vagolando tra casa e Chiesa ad aspettare la venuta del Messia. Se siete davvero convinti di essere lo strumento di redenzione del prossimo, andate in mezzo al prossimo e rompetegli le palle con i vostri bisogni, i vostri diritti e la vostra scomoda presenza. Quelli che frequentano la Chiesa, tecnicamente son già salvi, no? Mettete a frutto i vostri talenti, fosse anche solo il talento di frantumare le gonadi ai miscredenti.
Smettetela di considerare “sbagliati” quelli che non hanno la vostra fede e di vantarvi per il fatto che il Papa vi accarezza la testa. Siete forse cagnolini, che Iddio vi ha fatto per farvi grattare dietro le orecchie dal prossimo? E’ dunque così semplice la vostra missione o avete solo paura di mettervi in gioco?
Non abbiate paura di chiedere aiuto: io lo faccio tutti i giorni e nemmeno uno sconosciuto mi ha mai detto no, neppure i comunisti o i testimoni di Geova.
Quanti estranei saranno andati a casa vantandosi: “Oggi ho accompagnato una sulla sedia a rotelle con l’ombrello, fino alla stazione”? Non importa se non specificano che, se l’aiuto non fosse stato richiesto, non gli sarebbe manco venuto in mente: si sono meritati il loro momento di gloria samaritana. Contenti loro, asciutta io.
Lasciate che a pregare siano gli allettati e gli anziani. Finché avrete la forza di spostare un joystick con un dito, con la bocca o col cazzo se vi pare, la vostra missione dovrebbe essere più impegnativa.
Perché, bella o brutta, la vita è un dono che non ci è stato fatto per essere riposto nell’armadio.

lunedì 15 aprile 2013

Anche gli angeli la danno via: a volte basta chiedere.


Di tutte le convinzioni che i normodotati nutrono sulle disabili, quella che mi fa in assoluto più ridere è che siamo asessuate.
Forse non avete mai visto una disabile a primavera. Il sole splende, le api fanno le cosacce coi fiori e l’ormone diversamente abile si risveglia,  quanto e più di quelli normodotati.
E qui le cose si complicano: un po’ perché spesso la disabile non apprezza a sufficienza il proprio corpo e tende a scoprirne il meno possibile, un po’ perché pure se l’handicappata nuda aprisse l’impermeabile davanti al bipede, questi sarebbe comunque capace di farsi venire dei dubbi sulle sue intenzioni.
Poverina … vuoi vedere che non riusciva a infilarsi le mutande da sola?
Peccato che, sebbene ci trattino spesso come pulcini coccolosi da accarezzare e sbaciucchiare fraternamente, non sempre il normodotato risulti indifferente ai nostri lombi. Chissà perché, tra tutte le cose che in un corpo disabile non funzionano, quella laggiù, porca zozza, è spesso più sensibile del nostro animo.
Agli uomini va pure peggio. Con i miei stessi occhi ho visto procaci MILF fare “i massaggini” al collo di amici in sedia a rotelle, incapaci di riconoscere il turgore in mezzo alle gambe per quello che era.
Se c’è un motivo per cui sono grata di essere donna, è che non ho il problema del coniglio nella patta.
Vedono due ruote e l’uomo o la donna scompaiono.
Quelli che hanno pensato a me “in quel senso” li potevo contare sulle dita di una mano e in passato non me ne sono fatta scappare nemmeno uno. Non è che ti capita tutti i giorni di trovare qualcuno disposto a provarci senza star lì a lambiccarsi il cervello su cosa si possa “fare” con qualcuno su sedia a rotelle.
Guardate che è un problema serio: spesso i disabili riescono a farsi vedere come uomini e donne solo se sono spudorati e non è mica facile essere spudorati se si ha un rapporto conflittuale col proprio corpo.
Prima che il mio attuale marito comprendesse che non ero interessata a un’amicizia platonica, è passato almeno un mese. Un mese in cui sono passata dalla blanda battutina a sfondo sessuale, al cercare di farlo ubriacare per approfittare in qualche modo di lui. Alla fine ho optato per “o la va  o la spacca” e sono andata nel negozio dove lavorava per provare la divisa di Star Trek che avevo richiesto. Sfoderai l’espressione da disabile innocente e gli chiesi di entrare in camerino con me, per aiutarmi a provare l’abito. Le mie intenzioni furono più o meno chiare quando comparve il completino in raso rosso.
Certo, col senno di poi, avrei dovuto immaginare che con un trekker come lui avrei ottenuto il medesimo effetto proprio con la divisa da Uhura appena confezionata su misura.
Insomma, vi rendete conto? Per avere qualche chance di rimorchiare, alle disabili tocca fare tutto il lavoro sporco. Altro che giochi di seduzione e rincorrersi a vicenda: se l’handicappata finge solo per un momento di essere ritrosa, il potenziale partner si scusa per averle fatto pensare che ci provasse.
Per sperimentare l’ebbrezza del corteggiamento, ogni volta m’è toccato conquistarli e poi lasciarli quando ero abbastanza certa si sarebbero dati da fare per riacchiapparmi.
Non sono stronza. E’ che il bisogno di corteggiamento per una donna è primario!
Come sia stato possibile poi che alcuni maschi s’innamorassero di me nonostante piedi storti, scogliosi, lordosi, cifosi, è un mistero che la scienza stenta a spiegare.
Personalmente sono convinta che gli uomini ci vedano esattamente come ci vediamo noi e io mi vedo una gran gnocca.
Ma ora basta parlare di me: è primavera, l’ormone impazzito fa capolino dopo il letargo invernale e io non riesco a smettere di pensare a tutti quelle disabili senza un/una compagno/a.
Tanto da dare e nessuno che se lo piglia, spesso solo perché non si sa che il buon sesso non è prerogativa dei normodotati.
Volete svegliarvi una buona volta?
Anche se i nostri occhioni sono così puri e grandi da smarrircisi dentro per sempre, non siamo angeli: ci mancano le ali, ma abbiamo una patata capace di farvi volare.
Per certe cose ricordate semplicemente la regola aurea: domandare è lecito, rispondere è cortesia. Non sarà del resto la prima volta che chiedete a qualcuno di fare sesso con voi e vi rispondono di no.
Mettetela così: se anche vi andasse male, avrete fatto molto per l’autostima di un’invalida.
Se, di contro, Huston vi dà l’OK, chiedete alla disabile di farvi provare la carrozzina reclinabile.

sabato 6 aprile 2013

Burocrazia plausibile: sogno miracoli che nemmeno Gesù

La burocrazia è quella cosa che ci manderà tutti al manicomio. E badate che a dirlo è una persona che, per un buon trenta percento del proprio tempo lavorativo, sta dall'altro lato dello sportello a mettere timbri e sigle, davanti a persone che trattengono il fiato finché non pronuncia le parole magiche:
"Può andare: è tutto a posto."

Iniziamo col dire che spesso anche l'utenza - sì, voi, avete proprio capito bene! - ci mette del suo, soprattutto quando accede ai servizi pubblici. Lo so che quando entrate in un ufficio Statale o Parastatale pensate solo che siamo dei fannulloni: ve lo ha detto Brunetta e quando fa comodo a voi, credete pure ai politici. 

Non che abbiate sempre torto, ma provate un po' ad usare le capacità logico-deduttive: se avete aspettato trenta minuti in coda davanti a un povero strillone assunto apposta per ripetere ogni cinque minuti l'elenco dei due (no, dico, due!) documenti che dovete avere con voi per attivare uno stage e quando finalmente viene il vostro turno, manca un documento, perché deve essere colpa mia?

Perché vi sentite autorizzati ad entrare in un ufficio anche quando questo è chiuso al pubblico? Perché non provate a entrare nella vostra banca a qualsiasi ora, picchiando e spingendo come pazzi furiosi la porta principale, per vedere se vi fanno entrare "cinque minuti" per fare il bonifico o se chiamano la polizia?

Perché non provate ad andare dal cardiologo a lamentarvi che non vi toglie lo stesso il dente del giudizio, dato che voi avete atteso più di un'ora nella sala d'aspetto dello specialista sbagliato?

Perché, perché prima di partire da Eboli non vi siete dati la pena di capire quando, dove e cosa dovete consegnare?!

A prescindere da ciò vi hanno raccontato la vostra fidanzata, la mamma, lo zio, la nonna, il Professore di genetica o Gesù Cristo in persona, IO LAVORO QUI, e solo quello che dico IO, o i miei colleghi, o il sito ufficiale, è legge. Non è colpa mia se sulla hompage del sito degli studenti di Topolinia c'era scritto che noi siamo aperti pure a Natale all'ora che cazzo ti pare. Sono forse mai entrata in una Chiesa a dire al prete che quello che c'è scritto nella Bibbia è sbagliato per tutte le altre religioni, oltre che scientificamente improbabile? Suo il lavoro, suo il Manuale di riferimento, sue le regole, almeno finché gioca in casa sua.

Pensate che mi diverta a dirvi che non si può fare? Non dovete forse sempre ripassare dalla mia di scrivania? Pensate davvero sia ansiosa di rivedervi giorno, dopo giorno, sempre più incazzati con me?

Comunque vi capisco. Non è che in tutti gli uffici pubblici il lavoro sia un valore e voi non potete certo saperlo che, dove sto io, si lavora sodo, dato che comanda un Direttore che potrebbe tranquillamente riciclarsi come domatore di leoni. E lo dico con ammirazione, proprio perché io stessa detesto il lassismo di alcune strutture.

Sapete qual'è il vero problema della burocrazia? E' solo il fatto che è costituita da un sacco di regolamenti e procedure, di cui pochi si danno la pena di comprendere le ragioni. 

Il burocrate applica i regolamenti, il bravo burocrate conosce le ragioni alla base dei regolamenti e sa quando può non applicarli. Se poi è un burocrate bravissimo, a volte si sbatte pure per cambiarli, i regolamenti vetusti.

Per esempio, recentemente ho avuto una discussione con un Capotreno, colto dal panico per il fatto che sul suo mezzo fossero saliti a bordo ben DUE disabili, uno dei quali non aveva nemmeno la prescrizione!

Ebbene sì, i disabili non possono mica alzarsi la mattina e decidere di salire sul primo treno che passa. Devono pensarci fino a una settimana d'anticipo, a seconda della tipologia di tragitto. 

Quando un mio parente lontano sta male, io sono quella che chiede se è possibile essere avvertita almeno settantadue ore prima della dipartita.

Ma perché dobbiamo prenotare (prescrivere) un treno con così largo anticipo e perché non possiamo salire in due sullo stesso vagone, se non accompagnati?

Le ragioni sono svariate:

1) La maggior parte dei treni e delle banchine italiane non sono accessibili, oppure hanno un solo posto per disabili. Per salire su un treno, devi pertanto avvisare, affinché preparino l'elevatore o attacchino una carrozza attrezzata. Che poi tu lo prenoti e ciò venga sempre fatto davvero, è tutta un'altra questione.

2) Sui vagoni attrezzati, c'è un solo posto per disabili, munito di sistema di ancoraggio standard cui agganciare le carrozzine immaginarie per cui quel sistema è stato progettato. Non sempre il posto per disabili è ben segnalato, ma lo si può riconoscere facilmente dalle decine valigie che la gente ci mette sopra.

3) A fianco al posto per disabili è altresì collocato un pulsante rosso per le emergenze, che l'handicappato può premere in qualsiasi momento per richiedere assistenza, senza timore di disturbare: tanto non funziona.

4) Alcuni disabili necessitano assistenza per salire sul treno e se manca l'accompagnatore, se ne deve occupare un addetto appositamente assunto dalle ferrovie, che talvolta non ha la più pallida idea di come si manovri nemmeno il suo uccello, figurarsi una carrozzina manuale.

5) Dovesse mai succedere qualcosa al treno e un povero disabile finisse avvolto dalle fiamme, sarebbe specifico compito del Capotreno provare a salvarlo e, non avendo il dono dell'ubiquità, con due disabili a bordo si troverebbe a fare triage.

Da tutto ciò derivano le seguenti regole delle ferrovie italiane:
- i disabili che desiderano viaggiare sui treni sono tenuti ad avvisare con congruo anticipo;
- non sono ammessi più di due viaggiatori disabili non accompagnati a bordo dello stesso treno.

Nei Paesi civili, ovviamente, non funziona così, per le seguenti ragioni:
- tutti i treni e le stazioni sono accessibili;
- ogni treno ha più posti per disabili, distinti da quelli per anziani e dal quelli per gestanti;
- se a un disabile serve aiuto per salire, basta avvisare in biglietteria e ti mandano il Badante Vichingo abilitato all'assistenza, sfortunatamente non a quella sessuale, ho scoperto.

Ah... in tali Paesi, spesso i disabili però pagano un biglietto ridotto, non come in Italia, ove puoi viaggiare completamente gratis, sempre che tu riesca a salire sul treno.

In Italia esiste tuttavia una linea di treni che rappresenta una magnifica eccezione a tutto questo - sì, ho proprio scritto in Italia, anche se sembra un ossimoro. Si tratta del Malpensa Express: due vagoni che arrivano a livello di banchina, pedane automatiche che uniscono il treno al marciapiede appena si aprono le porte, un posto per disabili per ogni vagone, ma volendo le carrozzine ci stanno anche sugli altri. Nonostante io faccia la prescrizione comunque, voi capite bene che, tecnicamente, sarebbe inutile.

Non mi sono spiegata pertanto il panico del Capotreno, che vedendo ben due disabili autonomi sul suo treno, è andato in fibrillazione, tentando di risalire l'intera scala gerarchica delle Ferrovie Nord, per sapere cosa fare e ricevere rinforzi. 
Giuro: mi ero avvicinata  a lui tranquillamente, parlando piano e con una mano alzata (l'altra mi serviva per guidare il joystick). Gli ho spiegato che doveva calmarsi, che non intendevo fargli del male, che non avevo bisogno di alcuna assistenza e che bastava si spostasse dalla porta per farmi salire. 

Niente, attaccato al telefono, con voce strozzata ripeteva: 
"Aspetti Signora, chiamo i superiori. Io come faccio con due disabili? Sono solo! Capisce che non me la sento di assumermi una simile responsabilità?!"

Non fossi stata in una stazione, gli avrei fatto un po' di counseling per la gestione degli attacchi di panico. Invece ho provato a spiegargli il perché, nonostante il regolamento dicesse alcune cose, in quel caso specifico non fosse da applicare. Ebbene sì, sono pure esperta di regolamenti ferroviari, ma solo per le parti connesse alla movimentazione disabili. Se sai il perché delle cose e le spieghi bene, di solito, riesci a far ragionare meglio le persone.

Nulla da fare però: quando il panico ottenebra la mente, non c'è ragione che tenga. 

Non potevo fare altro che chiamare il Responsabile di Stazione, che tempo fa mi ha lasciò gentilmente il suo diretto, pregandomi di contattarlo per ogni problema, "PRIMA" di rivolgermi ai giornali.

Così tutto si è risolto amichevolmente, non per il Capotreno intendo.

Avuta l'assistenza richiesta, nonostante la strigliata e il ritardo accumulato, il Capotreno si è subito sentito meglio: anche il viso era più disteso, mentre stava seduto davanti a me, nel caso avessi bisogno di chissà che. 
Ha persino provato a spiegarmi che, se fosse successo qualcosa, lui non avrebbe potuto aiutare due persone. Giusto a titolo accademico, ho chiesto a Cucciolo quale piano d'azione avesse, per salvare dalle lamiere una disabile che a occhio e croce pesa più di lui, ancorata a una sedia a motore da 100 chili. Poiché la risposta tardava ad arrivare, l'ho formalmente sollevato dall'incarico:

"Facciamo così, se dovesse succedere qualcosa, aiuti l'altro disabile, così forse almeno io mi salvo."



mercoledì 3 aprile 2013

Sicuri sicuri di non essere nazisti?

Pare che se non cammini, qualsiasi sia il piede con cui scendi dal letto, sia il piede sbagliato. Non che la realtà dei fatti si sprechi per provare a contraddirmi.

Eh già: oggi è un’altra splendida giornata! Una di quelle in cui senti che rimpiangerai fino a sera di essere uscita dal letto.
Ciò che mi tormenta oggi è il razzismo, ovvero quella prassi sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente «superiori», cui appartiene il mondo, e di altre «inferiori», destinate alla sottomissione, intesa come discriminazione.
Ci scommetterei una ruota che vi sentite tutti puri e disgustati dal concetto di razzismo! Ma è davvero così? Siete davvero migliori di quella testa di cazzo che stamattina mi ha dato dell'handicappata?
Quanti di voi hanno uno o più gradini per entrare nella propria casa, nel proprio negozio, quando non addirittura nella propria Chiesa?
Quanti di voi lavorano in una struttura inaccessibile del tutto o in parte?
Quanti di voi non saprebbero nemmeno dire se il posto dove vanno a bere il caffè abbia o meno un gradino d'ingresso?
Certo, non è mica colpa vostra se ci sono le barriere architettoniche! Mica l’avete tirato su voi l’edificio inaccessibile! E colpa del proprietario, del costruttore, del geometra, dell’amministratore, dello Stato che non fa nulla per abbattere le barriere.
Confessate figliuoli: quante volte questa settimana siete entrati in un posto dove io non posso entrare?
Basta fare un giro per una qualsiasi città italiana con una sedia a rotelle per rendersi conto che viviamo in città razziste, in cui la razza superiore dei bipedi tiene sottomessa quella inferiore dei non deambulanti, rendendo quasi impossibile il processo di reale integrazione.
Se non altro, una volta, fuori dai locali avevano il coraggio di scrivere che non erano ammessi neri o ebrei o idioti. Che dire, forse era più onesto il: “Tu qui non puoi entrare” rispetto a: “Io lo metterei pure lo scivolo, ma se faccio un lavoro, poi il Comune mi obbligherebbe a ristrutturare tutto”.
Certo, i soldi mancano, ma spesso la volontà di più.
Siamo interessati ai cambiamenti solo quando questi sono immaginari: quel genere di cambiamenti che dovrebbero piovere dall’alto di uno Stato inteso come altro da noi.
Ma le cose non cambieranno mai, perché lo Stato siamo noi.
Anzi, lo Stato SIETE VOI, “razza superiore”!
Siete voi che non volete cambiare davvero!
Esagero? Davvero?
Provate a smentirmi.
Andate nel vostro pub preferito e chiedete al gestore se è disposto a mettere un piccolo scivolo per permettere l’accesso alla vostra amica Engy.
Chiedete al proprietario della vostra amata pizzeria di farvi vedere il bagno per disabili, perché volete portarmi a cena e, se non è accessibile, o se è trasformato in magazzino, chiedete di sistemarlo.
Tornate a casa vostra, guardatevi bene intorno e chiedetevi cosa dovete sistemare per invitarmi a cena.
Provateci almeno, e vi renderete conto che tutti hanno delle scuse accettabili per non cambiare le cose, voi compresi.
Non è forse questo il razzismo? Non state forse permettendo che vengano discriminate delle persone sulla base delle loro caratteristiche fisiche? Non state negando l’accesso al vostro mondo a qualcuno, solo perché è diverso da voi?
E’ davvero tanto peggio il Neonazismo rispetto al Perbenismo indignato di chi non fa nulla per cambiare?
Lo Stato è là e non saranno dieci Saggi a tempo determinato a cambiare le cose.
Quelle sporche sono le vostre mani, solo che io non sono mica Gesù Cristo che non le manda a dire a Ponzio Pilato.
Non vi sto chiedendo di cambiare da soli il mondo. Vi sto chiedendo di guardarvi intorno con i miei occhi e di ricordare che ogni volta che non dite nulla al proprietario del pub, della pizzeria, della gelateria, della jeanseria … o al parroco, state di fatto sottoscrivendo un sistema che tecnicamente considerate sbagliato.
Vi sto dicendo che ogni volta che entrate in un locale ove io non posso entrare, state sostenendo che il mondo vi va bene così.
Lo so che al gestore costa chiamare il falegname e farsi mettere una pedana in legno - che essendo rimovibile, non richiede nemmeno comunicazione di ristrutturazione al Comune. Sì dà però il caso che a me costi tantissimo non poter andare dove andate voi: costa l'integrazione.
Vi ricordo che i membri delle SS erano pochi, ma nazisti erano pure coloro che stavano a guardare senza dire nulla.
Da sola non posso fare molto, perché appartengo a una minoranza, ricordate?
Dimostrate di essere davvero superiori e non consideratevi esentati dal fare qualcosa. A volte, basta continuare a rompere le palle tutti assieme per cambiare la realtà: provate a fare il mio nome a Ferrovie Nord e vedrete che non dico bugie.