domenica 17 gennaio 2016

Esiste un corso per fare il lavoro più seducente e magico di tutti

Come buona parte degli accaniti lettori, anche io, sin dall’adolescenza, ho sognato di diventare una libraia. L’idea di avere una libreria tutta per me, in cui dimenticare il tempo sfogliando, annusando, leggendo avidamente (e gratis!) centinaia di libri, era ed è il mio personale canto delle sirene. Sì insomma, troppo bello per essere vero… 
E questo l’ho compreso proprio grazie alla mia esperienza di lettrice e difficile frequentatrice di librerie. Credetemi: sono tutt’altro che la cliente ideale, se non sapete come prendermi! 
Ci sono alcune librerie in cui entro ed esco invariabilmente con la carta di credito svuotata e assolutamente nessun senso di colpa… cosa che non accade quando esco da una profumeria. Nel senso che la spesa è uguale, ma avverto il classico pentimento dovuto al fatto che nessuna crema liftante farà mai ciò che promette, mentre un libro spesso sì. 
Però poi ci sono librerie in cui entro per comodità e vicinanza, uscendone quasi sempre a mani vuote e con un tutt’altro che sottile senso d’irritazione. 
Per qualche tempo ho pensato che dipendesse dal mio volubile stato umorale, e invece no!  L’ho capito osservando la realtà e vedendo ciò che mi è sempre stato sotto gli occhi: dipendeva dalla libreria! E non per come fosse fatta, per quanto fosse grande o fornita. La mia libreria preferita è un buco lilla, in una zona di Milano lontana da dove lavoro, quindi ci devo proprio andare apposta. Eppure, entrare in quel buco, significa chiudere il mondo alle proprie spalle per varcare i cancelli del paese delle meraviglie. 

Ci sono librerie che hanno un’anima e altre no. 
E l’anima di una libreria è il libraio. 
lI problema è che librai non si nasce. 

Questo ora mi è ben chiaro. 
Per esempio, io non saprei da che parte cominciare per disporre i libri in modo razionale, ma vi assicuro che quando entro in una libreria che ha una logica, non trovo solo quel che cerco, ma accanto a quel che cerco, anche ciò che ancora non sapevo di volere. 
E poi, come si faccia a capire quali libri mettere nella propria libreria, per me è un  mistero. Fosse per me, ci piazzerei solo ciò che mi piace, ma devo supporre con rammarico che il resto del mondo potrebbe non avere i miei stessi gusti. 
Tra l’altro, oggi una libreria non può essere solo un posto dove si vendono libri, perché ormai esiste pure Amazon e mica solo per gli e-book. C’è una cosa che però manca ad Amazon e mancherà sempre: l’anima di un libraio. E questo è precisamente il motivo per cui continuo ad andare in libreria: per l’atmosfera, il sorriso della mia libraia, gli eventi, le presentazioni e le iniziative che mi permettono di condividere il mio amore con altri innamorati. E ascoltare, vedere, toccare, conoscere alcuni dei miei scrittori preferiti. O anche quelli sconosciuti, perché se li invita la mia libraia, c’è sempre un ottimo perché. 
Più di tutto però, vado in libreria per quella magia che accade quando entro senza sapere cosa voglio, mi dirigo da Cristina e le espongo i miei confusi e assurdi bisogni, tipo:

“Mi serve assolutamente qualcosa che mi faccia sentire leggera.”
“Ti prego… dammi un libro che mi faccia capire che non sono l’unico essere al mondo che conosce ancora il senso della parola ‘ironia’.”
“Ho appena finito di leggere questo: ne voglio uno uguale, ma di un autore diverso, possibilmente non francese.”
“Hanno mai scritto qualcosa di romantico che non sappia di melassa?”

Il più delle volte non ho nemmeno il coraggio di chiederglielo in faccia, temendo di essere presa per folle. Così lo scrivo su Facebook o su Twitter, sperando che qualcuno nel mondo riesca a capire ciò che mi passa dentro in modo così confuso. 
Ma i miei librai sono anche lì, perché è gente che ama i libri, ma non vive nel passato. E dal web mi inviano scialuppe di speranza, che mi fanno placidamente navigare nelle loro librerie. Perché, se sei bravo, non devi temere le sirene, perché la sirena sei diventata tu.

Io non so quale specie di magia conosca per esempio Cristina, ma ogni volta capisce cosa mi occorre. Perché i libri devono rispondere a dei bisogni sempre diversi. Ed è così brava che, quando leggo la trama ed alzo un sopracciglio dubbioso, lei mi sorride e dice: “Fidati…”. E io ho imparato a fidarmi della mia libraia più che di me stessa, che quando scelgo da sola, ci azzecco molto meno. 
Se pensate che di lavoro faccio la psicologa, non è un gran che confortante constatare che la mia libraia mi conosce meglio di quanto mi conosca io, ma ormai me ne sono fatta una ragione… o almeno cerco di convincermene.

Che dire? Ci ho messo poco per comprendere che essere un’accanita lettrice non fa sicuramente di me una potenziale libraia, ma ai miei tempi mica c’erano dei corsi! Così ho dovuto accontentarmi di scriverli dei libri, anziché creare un magico luogo dove condividerli con i miei simili: in definitiva, mi è sembrato più facile. 

Poi se ne salta fuori Aldo, qualcuno che stimo e di cui mi fido come persona e, ancor più difficile, come libraio. Mi dice che esiste questo corso fichissimo sulla professione di libraio e mi chiede se voglio buttar giù due righe per raccontare il mio rapporto con i librai e le librerie... E io ovviamente lo faccio, confidando in uno sconto sulla mia prossima iscrizione. Perché le sirene le sento ancora cantare, ma ho come l’impressione che ora esista un modo per ascoltarle e magari seguirle, senza perire nelle gelide acque del mare.

Per chi fosse interessato, ecco il link del corso e quello dell'anima della Scatola Lilla, la libreria più lilla di Milano:





sabato 2 gennaio 2016

Fatti non foste a viver come handicappati

Esattamente come il resto del genere umano, sono convinta che esistano due fondamentali opzioni possibili:
  1. Io ho ragione e gli altri torto marcio.
  2. Io ho le mie ragioni e gli altri le loro… che comunque tengono meno delle mie, anche se non sempre glielo vado a dire.
Ovviamente anche il blog di oggi parte dal presupposto che io abbia come sempre ragione e sono così incazzata che non farò nemmeno finta di seguire l'opzione due.

Sta storia ce l’ho sul gobbo da prima delle feste. Ho pensato di tenermela per me, perché parla di un certo tipo di disabili, ma poi mi sono detta che pure questa è discriminazione.

Se uno sbaglia, non è che non bisogna dirglielo solo perché è handicappato

Ma partiamo dal principio… 

I miei genitori non mi hanno allevata come una disabile e quindi non potrò mai esserlo, almeno mentalmente. Non dico che mi abbiano tirata su necessariamente bene, ma non si prende un bambino cresciuto dai lupi e lo si reimmette tra i propri simili pensando che vada d’amore e d’accordo con tutti, solo perché si somigliano fisicamente.
Beh ecco, suonerà pure poco “politicamente corretto”, ma ultimamente ce l’ho a morte con una specifica categoria di disabile. Una categoria diffusa purtroppo, e che lascerei tranquillamente vivere nel suo habitat se solo quell’habitat non fosse pure il mio.

Io ce l’ho a morte con i disabili che credono di essere sfortunati e che per questo il mondo li debba risarcire.

Disabili o no, ti do una notizia shock: per il solo fatto di essere nati, abbiamo tutti avuto un culo della madonna.

Vedi, l’alternativa era essere uno degli altri miliardi di spermatozoi che non ce l’hanno fatta a fecondare quel fottuto ovulo. Almeno una volta nella vita, sei stato il primo, il migliore… e te lo sei dimenticato.
Certo, ora vivi in un mondo popolato solo dai migliori, solo da quelli che ce l’hanno fatta… cazzo,  so che non si direbbe, eppure è così!
La concorrenza si è fatta più difficile e tu scegli di giocare in difesa, senza nemmeno provarci. Saranno i troppi legal drama seguiti su Netflix a parlare, ma direi che stai patteggiando al ribasso, dando per scontato che perderai se arrivi al processo.

Cocco, piantala…
Non ho idea di come tu ci sia arrivato, ma sei entrato nell’hit parade dell’umanità. Adesso magari smettila di piangerti addosso e fai qualcosa per risalire la classifica, senza pretendere risarcimenti per danni morali per il solo fatto di essere come sei.
Ovvio... a meno che non sia stato un errore medico eh...

Cosa significa concretamente questo? Significa che devi lottare perché ti sia data la possibilità di accedere alle stesse opportunità degli altri, pagando quanto gli altri. 
Significa che non hai diritto ad avere le cose gratis solo perché non ci vedi o non cammini, ma che hai diritto di avere tutto ciò che è dato agli altri, allo stesso prezzo e a prescindere dal tuo ISEE, perché ai normodotati mica chiedono l’ISEE prima di stabilire se hanno diritto al trasporto pubblico. Certo il tuo trasporto costa di più, proprio perché quello pubblico non è davvero pubblico, ma solo pubblico-normodotato. E allora tu ti fai abbindolare: presenti l’ISEE e ringrazi se poi ti danno il tuo speciale trasporto costoso, anziché fare in modo di farti pagare quanto i “normali”. Poi se alcuni disabili non hanno accesso allo stesso trasporto, a te basta guardare il tuo orticello e autoconvincerti che sia giusto far sborsare a una persona 60 euro a viaggio solo perché è ricco… o così coglione da risparmiare da una vita.

Caro disabile, ti do una notizia: quando il tuo vicino di casa operaio prende la metro a Milano, paga 1,50 euro a tratta. Esattamente la stessa cifra che paga il tuo amico Avvocato, sempre che decida di prendere la metro. A nessuno dei due viene chiesto l’ISEE per stabilire se hanno diritto di usare la metro gratis o se pagarla 60 euro a botta, perché tanto potrebbero permetterselo. Così andasse il mondo, sicuramente i ricchi non resterebbero a lungo ricchi, nemmeno se magari hanno studiato, risparmiato o faticato per diventarlo. Non so tu, ma nemmeno io sono comunista a tal punto.
Io sono più per l’idea che bisogna dare un giusto prezzo alle cose e qualcuno ha stabilito che il prezzo giusto di un viaggio entro i confini di Milano sia di 1,50 euro.
Sono poi decisamente dell’idea che non puoi farmi pagare per lo stesso viaggio 60 euro (questa la cifra corrente per un trasporto disabili), solo perché il trasporto pubblico della città discrimina una parte della popolazione.

Ecco, ora arrivo al punto.

Quando dopo mesi di trattativa convinco perfino un branco di normodotati a mettere l’ISEE tra parentesi e a garantire un servizio per tutti i disabili ad una cifra equa, io sono convinta di aver fatto una cosa buona. Magari stupida, visto che prima lo stesso servizio pure io ce l’avevo gratis, ma buona. Stupidi come me, però ce ne sono diversi altri, disposti a starci: pagare tutti poco e non lasciar fuori nessuno, anziché gratis per alcuni e troppo per altri.

Poi arriva la solita minoranza di piccoli orticultori, che guarda solo il proprio mezzo acro di terra arida. Sono pochi, pochissimi, ma abbastanza da far capire ai pesci grossi che è meglio fingere di tutelare questi due (che potrebbero pure pagare 1,50 a viaggio), che dover trovare il modo di garantire qualcosa a tutti i cazzo di contadini. 

Ma forse sono strana io. Confesso di essere addirittura convinta che non si debba dare a tutti i disabili la stessa cifra per l’assegno di accompagnamento o per la pensione. E l’ISEE non c’entra. Se una persona è allettata e ha bisogno di assistenza 24 su 24, 800 euro al mese sono un insulto. Io gliene darei almeno 3000 al mese. Di contro, se i trasporti, le città e gli edifici fossero accessibili, magari il mio assegno di accompagnamento dovrebbero aggiungerlo a quello di un altro… almeno finché sto fisicamente ancora così.

I soldi che lo Stato ci passa sono un risarcimento, è vero, ma non perché siamo disabili: perché lo Stato in cui viviamo è inadeguato e inaccessibile.

Io non voglio più essere risarcita, voglio quello che spetta a qualsiasi normodotato, allo stesso prezzo.

Ma evidentemente non tutti i disabili la pensano come me, anche se io ovviamente ho ragione, come dicevo all’inizio.

Inizio a pensare che, se come categoria stiamo ancora dove stiamo, in fondo ce lo meritiamo. Guardiamo al nostro orticello di oggi, senza prospettive, senza credere in un futuro accessibile. Se arriviamo al punto di non voler pagare un piccolo prezzo, per essere davvero come tutti gli altri, non lamentiamoci poi quando si stancheranno di farci la carità.

A me è stato insegnato a guardare un pochino più in là del mio naso e a non aspirare gli avanzi gratuiti degli altri, quando posso pagarmi la cena, purché ci sia lo scivolo per entrare nel locale.

Suvvia! Nemmeno voi siete nati per mendicare, ma per continuare a impegnarvi, correre e lottare, proprio come quella prima volta da spermatozoi!


Fatti non foste a viver come handicappati…