mercoledì 18 settembre 2013

De rerum pendularis

Sono pendolare dal 2001 e ormai il treno è diventata una vera e propria passione, intesa nel senso squisitamente cristiano di “sofferenza fisica, tribolazione e martirio”.

Non è un caso se pure nella Via Crucis ci stanno le stazioni. Almeno lì sono solo 14 e alla fine qualcuno risorge. Se prendi un treno invece, scopri che esistono centinaia di stazioni in mezzo al nulla e che, alla fine della giornata, più che altro sei morto.

Se Gesù fosse stato pendolare, per far tornare il conto delle stazioni, sarebbe dovuto cadere almeno una ventina di volte.

Ma basta con i parallelismi blasfemi, anche se quando si tratta di Misteri, pure Trenord e FS hanno poco da invidiare alla Chiesa.

Per esempio, mi piacerebbe capire perché i treni si fermano sempre in stazioni sconosciute in mezzo alla steppa Lombarda. Certe fermate sono in paesi che nemmeno esistono. Ogni volta scruto la porta, per capire se qualcuno sale o scende proprio lì, ma non accade mai. Sono non luoghi creati solo per far fermare i treni in un posto da cui non hai la più pallida idea di come allontanarti. Avete mai conosciuto davvero qualcuno che abita a Brusuglio?? Che poi già il nome delle stazioni dove vorrebbero farti scendere, abbandonandoti ad un oscuro destino, spesso la dice tutta: Lomazzo, Mozzate, Malnate, Legano (da tutti erroneamente pronunciato con l'intonazione sulla "a" anziché sulla "e")…

Una volta ho provato a fare check-in con Foursquare in una stazione dove ci siamo fermati per inspiegabili motivi e dopo un quarto d’ora che la rotellina girava a vuoto sono uscite le scritte “Ma n’do cazzo sei?!” e “Il tuo amico @TristeMietitore è nei paraggi”.
Dario Argento non è mai salito su un treno, se no mica si spiega che non ci abbia ambientato un horror. Pure Stephen King viaggia evidentemente solo in aereo, altrimenti Christine la macchina infernale sarebbe una locomotiva, mica una Plymouth.  

A volte penso che preferirei dormire nell’hotel di Shining stringendo al petto una bambola psicopatica e condividendo il letto con un Clown assassino, Freddie Kruger e il tizio appassionato di Munch, piuttosto che salire su un treno. Tanto le facce dei pendolari che girano, più o meno sono quelle.
Prima del trucco, io sono somiglio sputata alla maschera di Scream … il problema è che non ho la maschera.

Ma diciamocela tutta, non c’è personaggio dei film horror che regga il confronto col pendolare. Se non siete pratici di questo habitat, lasciate che vi delucidi sulla tipica fauna da vagone.
Il Macchinista. E’ una figura ammantata di mistero, che si intravede solo con la coda dell’occhio, mentre sale o scende dal treno. Di lui non si sa molto, se non che è un sadico bastardo che va a funghi. Si potrebbe pure soprassedere sul sadico bastardo, se non fosse che, a giudicare dalla velocità media di crociera del treno, è evidente che i funghi li cerca tutto l’anno, in mezzo alle rotaie. E’ lui che controlla tutto: chiusure, aperture, velocità e impianto di condizionamento. La sua passione è rinchiudere un sacco di persone in un luogo angusto e poco ossigenato, sottoponendole a temperature estreme, per vedere se si scannano tra loro. Pur sapendo esattamente dove stanno da anni le stazioni, invece di rallentare gradualmente in loro prossimità, preferisce inchiodare e spalmare così la gente sul pavimento. Ama risolvere il cruciverbone della Settimana Enigmistica mentre sosta nell’unica stazione dove non è mai salito o sceso nessuno, salvo farsi prendere dalla Sindrome del Bianconiglio quando deve far salire centinaia di persone alla fermata di Busto Arsizio. Per rendere il gioco più interessante, spesso non apre una o più porte, solo per vedere l’orda assassina fiumare verso i pertugi aperti, pronta a calpestare anziani, donne e bambini pur di non perdere il supplizio quotidiano che li aspetta a bordo.
 
Il Capotreno. E’ quello che non si vede mai se il treno non parte o è fermo da due ore in mezzo alla Terra di Merdor, ma che compare alle tue spalle come un avvoltoio se non hai vidimato il biglietto. Se deve dare spiegazioni, lo fa all’interfono, generalmente dopo un tre ore, quando ormai pensi di essere stato abbandonato e sei pronto a sviluppare la Sindrome di Stoccolma verso chiunque voglia dirti cosa diavolo stia succedendo. E dopo tanta attesa di una risposta esaustiva che giustifichi tutto quel dolore, il Capotreno finalmente accende l’interfono, si schiarisce la voce e dice: “Informiamo i Signori passeggeri che, causa problemi sulla linea, questo treno viaggia con tre ore di ritardo”. Perché il Capotreno è una persona che ama constatare l'ovvio.
Il Bauscia Rampante. Non tiene nemmeno più il cellulare in mano, perché tanto la spalla gli si è incollata al collo, creando un’intercapedine naturale ove inserire il telefono. Qualunque lavoro faccia, non ha segreti per nessuno di quelli sul treno e probabilmente nemmeno per chi sosta a meno di 5 chilometri dai binari, dato che non potrebbe parlare più forte nemmeno con un megafono. I suoi collaboratori sono tutti dei “pirla” o delle “teste di vitello”. Il Capo spesso non è lui, ma dovrebbe esserlo. E’ lui infatti che risolvere tutti i casini combinati dagli altri, il problema è che li risolve in treno, in diretta, mentre tu vorresti schiacciare un pisolino.
Le comari. Non viaggiano mai in numero inferiore a due e hanno un’età che può variare dai 30 ai 50 anni. Hanno delle amiche comuni di cui non approvano una sola virgola: come lavorano, chi hanno sposato, come crescono i figli, dove vanno in vacanza e soprattutto come stanno buttando via la loro vita. Se vi state chiedendo perché continuino nonostante tutto a frequentare certa gente, la risposta è semplice: perché altrimenti non saprebbero di cosa parlare in treno.
La studentessa. Sulle spalle porta tutto il peso del mondo, in uno zaino che usa come un machete per farsi largo tra i viaggiatori. Si può ricostruire il tragitto esatto da lei compiuto nella giornata, seguendo la scia di lussazioni e contusioni che lascia dietro di sé. Trovi o meno posto a sedere sui mezzi, ha comunque almeno due libri in mano, da cui traboccano post-it e appunti evidenziati col sangue. Di solito fa cadere ciò che ha con sé almeno due volte per tragitto, spargendo ovunque fogli compilati con quel genere di grafia che spingerebbe qualsiasi grafologo a suggerire un TSO o un esorcismo. Che abbia bisogno perlomeno di un ansiolitico, lo si capisce anche dal modo in cui tamburella coi piedi o si accanisce sul pulsante della penna a scatto. Potrebbe sembrare che parli col Demonio, ma in realtà si limita a mormorare litanie ossessive, di cui l'unica parola che riesci a comprendere, stranamente, è "desossiribonucleico". È evidente a tutti che teme il prossimo esame più dell'Apocalisse e tu che ci sei passata prima di lei vorresti spiegarle che nella vita dovrà affrontare cose peggiori dell'orale di biologia, solo che sarebbe una balla.

La socievole. Si riconosce perché, anziché tenere gli occhi su telefono, su un libro, persi nel vuoto o semplicemente chiusi, cerca di incrociare lo sguardo di chiunque. Ha degli occhietti eccitati da furetto sotto anfetamina e le labbra sempre sorridenti. E' dal fatto che sembra felice pur stando su un treno che capisci che non ci sta con la testa. Si vede subito che muore dalla voglia di parlare con qualcuno, possibilmente di argomenti affascinanti, quali il tempo atmosferico o il caro-abbonamenti. E non si lascia scoraggiare nemmeno quando tutti intorno a lei sembrano inspiegabilmente concentrati su qualcosa che li assorbe completamente: il giornale del mese scorso, la pellicina del pollice sinistro, una macchia d'inchiostro simpatico sulla punta della scarpa. Se si commette il tragico errore di attraversare la traiettoria delle sue pupille dilatate è finita: tutto inizia con “Ha sentito che…” e può finire solo con l’harakiri.

La Fidanzata. Manda avanti, tutta da sola, una relazione a distanza, e lo fa sul treno. Del fidanzato non si sa molto, se non due cose, chiare a tutti gli altri passeggeri: le mette le corna e non ha il fegato per dirle che è finita. Chiare a tutti sì, ma non alla Fidanzata, che si ostina a chiamarlo "Tato" in un'alternanza di strepiti, lacrime e proposte d’incontro sempre disattese. Ma le buche che lui continua a darle riescono solo in parte a scalfire la sua fede nell’amore eterno, facendole chiedere almeno dieci volte per tratta: “Qualcosa non va? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? Perché non ne vuoi parlare ora?”.
“Perché sei al telefono cazzo, a bordo di un treno pieno di gente che ha deciso di non fare la casalinga proprio per non doversi sorbire Beautiful!!” – questo le risponderesti tu.
Ma Tato non ha le palle per farlo.  Tato non ha nemmeno il coraggio di dirle che è finita, probabilmente solo perché Tato non sta sul treno con noi.

La Vamp. Crede che il modo migliore per portare a spasso un intero set di valigie sia il tacco dodici tempestato di Swarovsky. La si vede solitamente incastrata tra la banchina e le porte del treno, senza la più pallida idea di chi o cosa siano Archimede o il fulcro di una leva. La massima dimostrazione di problem solving di cui è capace nella giornata è abbinare la borsa alle scarpe, per tutto il resto si affida ciecamente al prossimo. Se riesce a salire sul treno è solo perché gli altri passeggeri l'aiutano, mica per altruismo, ma perché con tutte quelle valigie sta bloccando il passaggio. Comunque è inutile, perché se riesce infine a salire sul treno, è sicuramente il treno sbagliato. Il problema è che se ne accorge solo quando arriva al capolinea. Allora si ridesta dai suoi pensieri (???) ed esclama: "Ma abbiamo già superato la Stazione XY?!" -  Stazione che di solito sta su tutt'altra direttrice, talvolta persino in un altro Stato o Continente.

Il Ghiro. È il più innocuo di tutti. Si siede e un nano secondo dopo è già nel secondo ciclo di sonno REM. La testa che sballonzola sul petto, o reclinata all’indietro, a spregio dei potenziali tagliagole. Alla bisogna, può pure dormire in piedi, come i cavalli. È in sostanza il compagno di viaggio ideale, se si riesce ad ignorare i salutari grugniti e il filo di bava che gli cola dalla bocca semiaperta.

Lo Straniero. Non sa dov’è, come ci sia finito e soprattutto perché. Si guarda intorno con i suoi bagagli, in cerca di un qualsiasi cartello scritto in inglese che gli faccia capire cosa fare, ma trova solo la scritta “TO LETTE”. E per un po’ si chiede se Lette sia dalle parti di Milano Centro. Vorrebbe chiedere aiuto, ma la maggior parte delle persone che vede intorno a lui gli fanno sostanzialmente paura. A parlare con gente in divisa ci ha provato pure, ma si è visto sciorinare davanti una pantomima di gesti assurdi, frammisti a un linguaggio per iniziati fatto di “You go… go go go go and, on di dext, turn the angol. Take di Metro, L-I-N-E-A R-O-S-S-A. In front of you landscape, seaside, contryside, a big… Duomo… present? The big church with a golden Lady Mary on the top… in one word: Milan Centre.” A un certo punto ha rinunciato, perché si sa che “Italia. pizza, mafia, mandolino” e nessuno dei tizi consultati sembrava un pizzaiolo o un musicista. Decide di salire su un treno a caso, confidando nella voce metallica che annuncia le fermate, prima in italiano e poi in inglese. Eccola, finalmente! “Welcome all passengers aboard zzzzzzzzz. We inform zzzz very important zzzzzzz zzzz zzzz. There is a rail zzzzzzzz station in front of zzzzzzzzz. Please, don’t forget zzzzzzzzz zzzzzzz zzzzz. Zzzzzz zz zzzzz zzzzz and  hope see you again”.

E poi ci sono io: l'Asociale. Cuffie con musica a palla, cellulare in una mano e libro nell'altra. Il libro può pure essere lo stesso da oltre un anno, perché infondo non serve da leggere, serve a non incrociare per sbaglio lo sguardo della Socievole. Anche la musica che ascolta non fa grande differenza, perché tanto il Bauscia è comunque tre ottave sopra la soglia di sopportazione umana. L’Asociale è pronta a scavalcare chiunque stia salendo sul treno, perché deve assolutamente essere la prima. Le ci sono voluti anni per trovare il posto ideale: abbastanza vicino alle porte da sedercisi senza fare troppa strada, ma abbastanza lontano da non essere presa a zainate dalla Studentessa. Di fianco al sedile c’è l’unica presa funzionate dove può attaccare il cellulare scarico e il bocchettone dell’aria condizionata è a ragionevole distanza di sicurezza. Conosce così bene quel posto che ha la forma del suo culo. A volte pensa che dovrebbero metterci sopra il suo nome, dato che viaggia su quel treno da abbastanza anni da far scattare l’usucapione. Ogni mattina si alza almeno venti minuti prima del pendolare medio, solo per sedersi esattamente in quel posto, dove tra ritardi e guasti alla motrice, ha trascorso quasi metà della sua vita. E’ lo Smeagle del vagone: cerca di mantenersi nell’ombra, abbruttita da anni di pendolarismo, col suo tesssssssoro sotto il culo. Finge di non vedere né sentire nessuno, ma è sempre all’erta, anche quando pare dormire. Su quel treno ha già visto di tutto, senza scomporsi: svenimenti, attacchi di panico, cadute con effetto domino per una brusca frenata, sassi che colpiscono i finestrini, fumi acri e densi che invadono l’abitacolo. Ma da sempre, l’unica cosa in grado di farla scattare sull’attenti è il fruscio dell’interfono del treno, foriero di sciagure. Solo quello catalizza all’improvviso tutti i suoi sensi, roba che manco l’Occhio di Sauron.

Una cosa però accomuna tutti i pendolari.
A qualsiasi categoria appartenga, nessun pendolare andrà mai in Paradiso, ma se non altro si sarà già abituato all’Inferno.


venerdì 13 settembre 2013

Ciò che si perde quando non si ha nulla da perdere

Ci sono persone che decorano il proprio corpo con dei tatuaggi. Che piacciano o meno, quei tatuaggi sono stati scelti da chi li indossa e hanno per quella persona un significato specifico, che spesso racconta una storia. Anche il mio corpo racconta una storia: quella di due genitori disposti a provare qualsiasi cosa pur di migliorare la vita della loro bambina. 

Uè, capiamoci bene: alcune cose avevano un senso. 

Per quanto mi faccia incazzare la cicatrice a forma di biscione che ogni estate mi fissa dalla coscia sinistra, una biopsia era l'unico modo per approdare a una diagnosi e buona parte dei miei sanissimi parenti si sono sottoposti alla stessa procedura, lamentandosene molto meno di me. Si trattava di pochi millimetri di prelievo. Peccato che, se hai pochi mesi di vita, quei millimetri crescono in proporzione a quanto cresci tu. 

Dico solo che, se mai scoprissi che il prelievo muscolare si poteva fare anche in un punto meno visibile, prenderò un chirurgo a caso e gli farò fare la fine del Joker.

Dal ginocchio in giù, inizia invece l'arabesque di procedure sperimentali: tira un tendine là, metti un innesto muscolare qua... suppongo debba considerarmi fortunata a sembrare solo la cugina di terzo grado di Frankenstein. 

Ma i miei avrebbero provato di tutto, pur di riuscire a farmi camminare di nuovo. E per alcuni anni ci sono riusciti! 
Questo grazie a interventi e tutori ortopedici in cui sono stata ingabbiata per tutta l'infanzia e buona parte dell'adolescenza. 
C'è un motivo se una spilungona di un metro e settantacinque tiene un piede del 36: se lo fai alle bambine cinesi, si chiama "tortura". 
Però camminavo, più o meno alla velocità di 1 Km/h, barcollando, col cuore in gola, un po' per lo sforzo, un po' per la paura di cadere. Rossa come un peperone, per l'imbarazzo di rappresentare uno spettacolo penoso per gli astanti. I dolori alla schiena erano qualcosa che, segretamente, temevo mi avrebbero accompagnato tutta la vita e che assolutamente non valevano quella dozzina di maledetti passi. 

Lo capite ora perché amo la mia sedia a rotelle?

Ma quelle decisioni io posso capirle. Pure medici, terapisti e ortopedici le capivano e le consigliavano. Posso capire anche che mi abbiano fatto provare tutte le sostanze attualmente note nel mondo del doping, perché le probabilità che funzionassero erano concrete e verificate e alcune hanno davvero funzionato. 

Posso  capire un po' meno perché, quando dei gran Dottoroni ti dicono che una procedura non serve a nulla, tu debba ascoltare l'unica voce fuori dal coro, persino la voce di sedicenti maghi e pranoterapeuti. 

Ma no, non è vero: capisco benissimo anche quello.

Un genitore non ascolterà mai i novantanove medici che dicono che non si può fare nulla, ma sarà tutto orecchie per quei pochi che proporranno di tentare qualcosa.

E tutto questo discorso ci porta finalmente al Metodo Stamina.
Ma quelli che mi conoscono bene, sapevano già che era lì che sarei andata a parare.

Ora, vediamo di capirci.


Io credo davvero che il metodo Stamina sia un miracolo: la comunità scientifica non ci crede, nessuno riesce a replicare i risultati ottenuti in condizioni sperimentali e la casistica di guarigioni ha la stessa attendibilità di quelle della Madonna di Fatima.

Ma prima di questa sparata, avrei dovuto specificare che non faccio parte di nessun complotto di case farmaceutiche finalizzato a impedire la nascita di una cura che farebbe perdere degli introiti. Davvero: non metto nemmeno piede in un ospedale o in una farmacia da anni, sebbene mi ricordino un po' la mia infanzia.

Anche io sono convinta che le staminali siano il futuro, così come sono certa che non vedrò mai quel futuro, perché quel genere di ricerca è ancora a livello embrionale, mentre io sono fuori dall'utero già da troppo tempo.

Non sono un genitore, però non faccio nemmeno parte di nessuna ottusa commissione medica intenzionata a stroncare a priori qualsiasi metodo rivoluzionario solo perché non lo capisco o perché non ci sono arrivata prima io.

E allora perché parlo?

Perché io sono quella che per anni ha ricevuto le cure, persino le cure che quasi tutti dicevano non sarebbero servite a nulla. Il problema è che quasi tutti, di solito, hanno ragione.

Ma perché non provare? Tanto quei bambini morirebbero lo stesso!

Certo, perché al mondo esistono un sacco di persone contrarie alla sperimentazione animale, ma favorevoli a testare un protocollo non sperimentato sui bambini.

E voglio credere che siamo tutti abbastanza evoluti da non fare il ragionamento che, se tanto devono lo stesso morire, allora si possano usare come cavie.

Ma alcuni genitori ci dicono che, coi loro occhi, hanno visto dei miglioramenti nei figli. Prima non alzava la testa, ora la alza ... prima deglutiva a fatica, ora mangia senza che il cibo vada per traverso. Tutto questo con una sola applicazione.

E sicuramente non è una balla: è lo stesso genere di esperienza che raccontano genitori disperati che tornano dai viaggi della speranza. Quel genere di viaggi in cui riprendono a camminare persone affette da sclerosi multipla, ma in cui non è mai ricresciuto un arto amputato.

Oh, la Madonna di Lourdes adora quelli con la sclerosi! Che gli avremo mai fatto noi altri?

Lo so, sono una brutta persona a dire queste cose. E forse proprio perché sono una brutta persona, non mi vergogno di fare discorsi che potrebbero infrangere le speranze di madri e padri che soffrono indicibilmente, perché la verità è che nulla può uccidere le loro speranze.

Senza speranza, probabilmente, non riuscirebbero nemmeno a respirare.

Ma se la speranza ti fa andare avanti, la falsa speranza, una volta smascherata, uccide l'anima.

Esistono malattie tanto insidiose quanto imprevedibili. Malattie che possono colpire improvvisamente, cambiando la tua vita, e recedere, a volte senza un'apparente spiegazione logica.

E poi esiste la fede cieca.
Non importa che sia riposta nella Madonna o nel Metodo Stamina: la fede a volte ci fa vedere ciò che vogliamo disperatamente vedere, altre volte compie veri e propri miracoli.
Ma, per quanto sia agnostica, se proprio dovessi decidere dove riporre la mia fede, sarebbe in Dio e non in un protocollo medico irriproducibile.
Perché, quello che qui nessuno dice, è che se pregare sembra non abbia mai fatto male a nessuno, non esistono protocolli medici indolori. 

Ora, non vi sto dicendo di pregare. Io l'ho fatto per anni e i miei muscoli continuano ad avere la consistenza di un semifreddo, ma è una delle poche cose che, perlomeno, non mi ha sforacchiato la pelle da tutte le parti.

Nel caso delle cure mediche però, NON E' VERO CHE PROVARE NON COSTA NULLA.

Le cure - che funzionino o meno - fanno male, nel corpo e nell'anima, non solo di chi le subisce.
Gli aghi pungono, i medicinali bruciano nelle vene, gli ospedali spaventano.
Ogni terapia ha dei rischi e un costo in sofferenza, un costo che bisogna capire quando vale la  pena pagare. 

A volte è semplicemente giocare alle slot-machine: le probabilità di vincere sono infinitesimali, ma la speranza fa scommettere lo stesso.

E io ora scommetto che siete tutti pronti a condannare le slot-machine, ma poi approvereste Stamina, anche se le possibilità di cambiare vita sono probabilmente le stesse.

Ma anche con le scommesse scientifiche si può perdere la stessa cosa che mettiamo in gioco con l'azzardo: la dignità delle persone.

E visto che sono una donna orribile, perché non dirlo? Le cure hanno un costo anche monetario. Esistono già ricerche italiane che hanno prodotto risultati meno miracolosi, ma riproducibili, ricerche che non ricevono abbastanza fondi. Chiamiamolo triage: in un modo ideale, ci sarebbero soldi anche per finanziare le ricerche più strampalate, ma in quello reale sarebbe meglio non sottrarre soldi a protocolli rigorosi, per finanziarne altri che promettono di cambiare il mondo in poco tempo, anche se nessuno capisce come.

La storia è piena di fantastiche scoperte scientifiche non replicabili in condizioni sperimentali: i Raggi N che riuscivano a vedere solo i francesi, la fusione fredda, il Metodo DiBella...

Che val sempre la pena sperimentare e che talvolta si possono prendere delle scorciatoie, passare quanto prima alle prove sull'uomo, ditelo a quelli che hanno subito una lobotomia prefrontale.

Ma qualsiasi genitore infondo spera che dietro ogni Vannoni si celi un altro Louis Pasteur, pronto a inoculare a un bambino che non era sicuro avesse la rabbia, qualcosa che avrebbe pure potuto ucciderlo. 

Ma viva Pasteur e le botte di culo scientifiche!

Che sia la storia a decidere se sei un genio incompreso o un nazista scienziato pazzo che tortura la gente perché magari può fare la scoperta del secolo che salverà migliaia di persone.

Che sia la storia a decidere se dobbiamo incazzarci con le commissioni mediche che non ci lasciano provare o se dobbiamo incazzarci proprio perché ci hanno fatto provare il Metodo DiBella.

C'è sempre la possibilità che Vannoni sia un genio così avanti che nessuno riesce a capirlo... esattamente la stessa possibilità che vi era con DiBella.

Anche lì i malati di cancro guarivano miracolosamente. Non tutti certo, ma la gente sceglie sempre di vedere quello che si è salvato anziché le centinaia che hanno tirato le cuoia. 

Forza Signori! La ruota gira, Faites vos jeux!

Puoi giocare d'azzardo solo se sei maggiorenne, però puoi sempre decidere se mettere sul piatto la vita di tuo figlio in un piano non sperimentale, perché c'è una remota speranza di vincere.

Ma no, non è vero: non puoi decidere. Se l'alternativa è vedere tuo figlio morire, non puoi non provarci. 
Sei ormai un giocatore d'azzardo vero: tutti pensano che tu possa scegliere, ma se credi di aver già perso tutto, non hai ragione di fermarti.

Scrivo queste parole e mi sento cattiva, perché la verità è una cosa rivoltante ed è per questo che tanti non vogliono vederla, figurarsi dirla.

I genitori sono le persone meno adatte a scegliere le migliori cure per i figli: li amano troppo.

Per questo esistono le commissioni mediche, commissioni composte da persone glaciali, che devono mettere da parte il cuore e usare solo il cervello. Persone che a volte devono infrangere l'ultima speranza di qualcuno.

So che molti odieranno ciò che ho scritto, ma se l'ho scritto è solo per un motivo.

Se sei adulto, puoi decidere se provare a vivere ad ogni costo o se sei contrario all'accanimento terapeutico. Se sei un genitore, la verità è che devi provarci per forza a fare tutto il possibile e l'impossibile.

Quando ho potuto impormi, ho deciso che non volevo più provare a camminare ad ogni costo, forse non lo avevo mai voluto.

E so anche che voglio vivere, ma non ad ogni costo.

mercoledì 4 settembre 2013

Guida pratica ad Amsterdam (e altre città) su sedia a rotelle

Ogni anno scelgo una città da sperimentare in sedia a rotelle. Generalmente punto sull’Europa del nord, che raramente delude in quanto ad accessibilità. Tra le mete testate sulla mia pelle, direi che Amsterdam si piazza al terzo posto subito dopo Berlino e Londra, quasi pari merito con Stoccolma, che la batte sulla questione treni. Nella mia classifica non rientrano da tempo Italia, Francia e Portogallo, che per quanto mi concerne dovrebbero essere depennate dal novero dei Paesi civilizzati, eccezion fatta per Eurodisney.
So che può far paura prendere rotelle e ausili vari e addentrarsi in un paese straniero, ma credetemi: è più facile che i problemi apparentemente insormontabili li troviate a casa vostra che in alcune capitali europee. Se poi vi dirigete oltreoceano, zona USA, vi troverete in una botte di ferro grazie ai reduci di Vietnam e guerre varie, tornati dal fronte in pezzi più o meno funzionanti e particolarmente “motivati” ad abbattere nuovi nemici: le barriere architettoniche.
L’importante è organizzarsi bene prima di partire, ma se non avete voglia di farlo, vi passo questo tour di Amsterdam, collaudato dalla sottoscritta e dal consorte.
Potreste anche rivolgervi ad un’agenzia, ma dovreste spiegare all’operatore alcuni passaggi che difficilmente si conoscono se non si è disabili. Personalmente, se posso, io faccio sempre tutto online, un po’ perché comunque dovrei spiegare un sacco di cose all’agenzia e un po’ perché sono una maniaca del controllo.
Il primo step è l’aereo. Tecnicamente, ad Amsterdam, ci si potrebbe andare in treno, ma non esistono connessioni dirette e alla fine vi costerebbe più dell’aereo, in tempo, soldi e disagi. L’auto la sconsiglio, perché Amsterdam non è pensata per le automobili e diventereste matti per parcheggiare, muovervi tra orde di biciclette e comprendere la viabilità della città.
Io ho volato con EasyJet, che dopo una multa colossale per aver lasciato a terra un disabile, ha rivisto il suo regolamento. Ora potete viaggiare con due carrozzine (una segnalabile direttamente online in fase di prenotazione, l’altra aggiuntiva da indicare via call center), senza spese ulteriori o limite di peso - sempre che gli aeroporti coinvolti abbiano i macchinari per lo scarico di attrezzature oltre i 60 Kg (negli scali principali è generalmente la norma). L’importante è segnalare comunque le carrozzine che superano i 60 kg., anche se è una sola. Chiamate non 48 ore prima (come scritto sul sito), ma magari all’atto stesso della prenotazione: se ci sono problemi, ve lo devono dire subito e avrete tempo per trovare un’alternativa.  Al telefono vi chiederanno dimensioni, peso e tipo di batteria (se a motore), quindi tenete sotto mano il manuale tecnico. Occhio però: Easyjet non accetta il trasporto di passeggeri disabili che richiedano la presenza di una persona che li assista, fatta eccezione per i casi in cui tale persona viaggi insieme al passeggero.
Il fatto che il regolamento sui "Passeggeri con esigenze specifiche" sia cambiato, non significa che tutti gli operatori lo sappiano, soprattutto all’aeroporto. Non importa: basta “aver studiato” e citare il loro stesso regolamento, che tutto si risolve. Prima dell’imbarco, vi richiederanno la tipologia di batterie, vi faranno scollegare i cavi, mettere il nastro isolante sui medesimi e firmare un cartoncino ove dichiarate che se l'aereo dovesse cadere, non sarà certo per colpa della vostra carrozzina elettrica. Molti non conoscono le batterie al gel, quindi dovrete spiegargli voi che sono le più sicure e che nel manuale stesso della carrozzina è specificato che sono le più adatte al trasporto aereo. Oltre a scollegare le batterie, vi conviene togliere il cuscino, staccare i braccioli e il joystick, metterli sul sedile e chiudere ad ostrica lo schienale, passare un paio di cavi del tipo che si usa  sui portapacchi, in modo da ridurre l'ingombro e proteggere quanto più possibile le parti delicate. Se siete dei perfezionisti, coprite il tutto con del cellophane prima di passare i cavi, perchè la vostra carrozzina vi attenderà sottobordo, allo sbarco, con qualsiasi condizione meteo: vi assicuro che nessun addetto carico-scarico la proteggerà con un ombrello.
Ho volato con Air Berlin e SAS e ho avuto meno passaggi da sbrigare che con EasyJet, ma alla fine dovremmo sempre comportarci come i bipedi e non rinunciare a voli più convenienti pensando che le grandi compagnie non sbaglino mai: il disguido può accadere con tutte. La SAS, ad esempio, mi ha consegnato la sedia a rotelle infiocchettata, ma mi ha sparpagliato il bagaglio da stiva con tutto il contenuto sulla pista. Si è però anche autodenunciata e mi ha risarcito abbondantemente, quindi li perdono.
Se siete con una sola carrozzina sotto i 60 Kg. o manuale, è un giochetto da ragazzi: si gestisce tutto on-line o con telefonata e non resta che presentarsi nella  Sala Amica dell’aeroporto con giusto anticipo (prima che apra il check-in).
Quando so che la mia meta è accessibile, personalmente viaggio sempre con una carrozzina manuale e con quella a motore più vecchia che ho nel “parco carrozzine”. Le carrozzine a motore, infatti, in caso di guasto, non si spostano nemmeno con le cannonate e vi ritrovereste inchiodati in hotel. Inoltre, io e Marito Samurai giriamo così tanto a piedi che, verso sera, rientriamo sempre in hotel, prendiamo la manuale e mettiamo la "bambina grande" sotto carica.
Se sapete che la vostra meta è poco accessibile (tipo se andate a Roma... per dire!), è sempre meglio viaggiare con le manuali, che alla peggio vi tiran su dalle scale a braccia.
In nessun caso viaggio però con la carrozzina a motore con cui vado al lavoro, perché tra operazioni di carico-scarico ed escursioni simili a marce forzate, non è del tutto improbabile qualche danno. Bisogna fare come i bipedi intelligenti e prendere le vecchie e affidabili scarpacce da tennis, anziché le Manolo Blahnik con cui andiamo al lavoro e per cui piangeremmo giorni in caso si rompa un tacco.
Mi raccomando: non dimenticatevi a casa il carica batterie e se avete un cuscino antidecubito che vada bene per entrambe le sedie a rotelle, prendete quello, per agevolarvi nei trasferimenti.

Amsterdam una carrozzina a motore se la merita, perché risulta più comoda da girare così che con la manuale. Io, per non saper né leggere né scrivere, mi porto sempre dietro l’indirizzo di qualche società indigena di noleggio sedie a rotelle. Tranquilli: non mi è mai successo nulla più di un tappino perso o di uno sfriso e vi assicuro che viaggio parecchio. Comunque è sempre meglio essere pronti ad ogni evenienza.
Ad Amsterdam, se viaggiate su aerei piccoli, vi scaricheranno dall’aereo mediante un aggeggio con cingoli a tre ruote che fa le scale, ove vi legheranno tipo Hannibal Lecter e vi faranno scendere in sicurezza. Tranquilli: il personale è addestrato, la discesa è lentissima e sono in due a occuparsi di voi. Il peggio che possa capitarvi è di rappresentare un insolto spettacolo per i passeggeri che si imbarcano sugli aerei vicini.
 
Sottobordo, troverete già la vostra o le vostre sedie a rotelle ad aspettarvi, a seconda che abbiate deciso di stivarne una o meno. Ricordate: E' VOSTRO DIRITTO AVERE LA VOSTRA CARROZZINA AD ATTENDERVI GIU' DALL'AEREO O SCEGLIERE QUALE CARROZZINA FARVI PORTARE PER PRIMA, se proprio non ve le vogliono portare entrambre. Quella a motore sarà da ricollegare alle batterie, ma nessuno vi metterà fretta. Vi accompagneranno poi dalla pista al recupero bagagli o all'uscita col bus attrezzato. L’ideale, se viaggiate in sedia a rotelle, è sempre ridurre al minimo il bagaglio. Io e mio marito viaggiamo ormai con due bagagli a mano, in cui abbiamo imparato a mettere l’indispensabile: bidet portatile e copri wc adattabile inclusi. Se avete un accompagnatore, la sedia manuale si rivela un ottimo carrello-valigie sino all'hotel.
 
Se non avete ancora bidet e copri wc in silicone, ve li consiglio. Il bidet portatile si acquista su Amazon per pochi euro: spesso all’estero non c’è il bidet o può capitare che la doccetta non vi sia comoda e si sta tutto il giorno seduti sul cuscino antidecubito, non è che la sera si profumi  di gelsomino. Quanto al copri water, serve soprattutto alle femminucce, che non possono non sedersi sulla tazza (altro che invidia del pene, io invidio il pappagallo!).






 
So che mi sto dilungando, ma ho pensato che qualche scambio di strategie tra viaggiatori sciancrati possa far comodo.
Comunque, una volta prenotato il volo, tocca all’hotel.
Per Amsterdam ne ho vagliati diversi, ma diciamocelo: quelli più economici non sono mai tra i pienamente accessibili. Fortuna si può risparmiare su tutto il resto.
Il consiglio, ovunque voi andiate, in Italia o all’estero, è di fare una rapida ricerca degli hotel dichiarati attrezzati e non, sui vari siti. Ma non state a diventare matti addentrandovi nei meandri delle descrizioni di ogni hotel per capire se sono DAVVERO accessibili o meno: sceglietene almeno 5-8 e mandate a tutti una mail standard, tipo questa:
Hello,
I'm ***********, I'm an italian customer and I'm looking for an accommodation in Amsterdam between 20th to 23rd of August (leaving the room on 24, just need to keep luggages until 17:00).
I'm looking for a room for two adults, but one of this adults is on a wheelchair. So I'd like to know if you have an handicapped accessible room for us on those days. If this is the case, I even would like to know the price (total per night) and how it's better to reserve this room.
Thanks a lot for your help

 
Se l’inglese lo conoscete, saprete pure fare meglio di me e, in tal caso, giratemi la bozza della vostra mail, che copio.

A quel punto non vi resta che aspettare poche ore o giorni. Vedrete subito che alcuni hotel si autescluderanno perchè non hanno davvero una stanza attrezzata o non hanno la disponibilità per quei giorni. Tra quelli accessibili, non vi resterà che fare una valutazione personale in base a prezzo-ubicazione-servizi. L’importante, quando confermate, è che esigiate che sulla prenotazione ci sia specificato che la camera è per sedie a rotelle, come nella foto sottostante.
 
Anche così capita che si sbaglino, ma a quel punto potrete richiedere lo spostamento in camere di categoria superiore a loro spese o in altro hotel o il rimborso della vostra quota di stanza, se siete in doppia. A me è accaduto proprio ad Amsterdam: avevano solo una camera disabili e non era disponibile, per un loro errore. In questi casi, l’importante è non farsi prendere dal panico: avete la stampa della conferma prenotazione che dimostra la vostra ragione e di hotel mica ne esiste solo uno. Consiglio di prediligere le catene con più hotel in città, perchè raramente sbagliano e, se proprio, una soluzione ve la trovano.
Alla fine la mia rosa si è ristretta a tre hotel della catena Ibis (City west, City Stopera e Amsterdam Center – qui in ordine di costo per notte) e a due hotel della catena NH: Amsterdam Center e City Center. Se avete soldi da investire in una vacanza romantica, ci sono anche il WestCord Fashion e il The Convent (che ho visto dall’esterno e deve meritare davvero), ma saliamo di categoria e già gli altri non costano spicci.
Dopo attente considerazioni e non sapendo quanto accessibile fosse la città, ho optato per NH City Center. Vi dico subito che hanno una sola camera per disabili, letteralmente perfetta per accessibilità generale, ampiezza camera e attrezzatura bagno. A causa di un disguido, i primi due giorni siamo stati in una superior molto più costosa (a spese loro), grandissima, ma ahimè col bagno assolutamente inadatto. Alla fine, considerato lo sconto, siamo rimasti due giorni lì, ma se non potete muovere qualche passo o non avete un qualcuno che vi prenda in braccio, sappiate che dalla porta del bagno, una sedia a rotelle non ci entra, se non togliendo le ruote. Vale comunque la pena prenotare questo hotel, perché la NH è una catena serissima e credo proprio che sia stata una fatalità l’errore commesso. Io comunque ho risparmiato 100 euro  e dal terzo giorno siamo stati trasferiti nella magnifica camera per disabili.
La doccetta della vasca arriva al WC e il filo rosso che attraversa tutto il bagno è l'allarme, di modo che possiate tirarlo ovunque doveste cadere nella stanza.
 
Veniamo ad Amsterdam. Bus e tram (GVB) sono tutti accessibili con pedana manuale. Nei tram, in coda, c’è la porta con pedana e sarà il bigliettaio stesso che viaggia sul tram (e ha la cabina davanti all'entrata accessibile) a tirarvela fuori e a chiedervi dove scendete. La metro non ci è servita per girare la città, che è tutta percorribile e godibile a piedi, se avete buone carrozzine a motore o buonissime braccia. Il consiglio è fare la Amsterdam Card (direttamente in aeroporto, volendo), che vi permette di visitare la maggior parte dei musei, vi garantisce sconti e gadget su diversi intrattenimenti e vi fa viaggiare gratis sui mezzi pubblici, una crociera sui canali inclusa. Se avete un accompagnatore, ne basta una, a nome del disabile, perché in Olanda generalmente non paga l’accompagnatore.
Il collegamento migliore dall’aeroporto di Schiphol al centro (Amsterdam Centraal Station) è il treno diretto (non incluso nella Amsterdam Card): dalle piattaforme 1 e 2 ne parte uno ogni 10 minuti. Però va prenotato telefonando, altrimenti potete richiedere assistenza per salire in carrozza (il treno ha tre scalini, non è a livello piattaforma e serve la pedana) al Capostazione o alle biglietterie. In biglietteria pagherete 50 cent più che alle macchinette automatiche, ma i disabili son casi particolari per i biglietti, quindi rassegnatevi. Senza prenotazione, potrebbe capitare di dover aspettare dai 30 minuti sino a 3 ore. Noi abbiamo avuto la pedana in 30 minuti all’arrivo e in un’ora e mezza al ritorno. Ovviamente ci sono anche i bus che collegano aeroporto a città, ma il tragitto è molto più lungo. Evitate il taxy: costa tanto e ci metterete molto più tempo, perchè Amsterdam è un delirio da percorrere in auto.
La città è facilmente percorribile sulle piste ciclabili e nessuno si lamenta se ci viaggia sopra una carrozzina a motore. Tutti i marciapiedi hanno saliscendi accessibili, le rotaie del tram sono bene interrate: per strada non incontrerete un gradino seguendo il percorso bici. I marciapiedi in alcuni punti vi costringeranno invece a scendere sulla ciclabile, per via di auto o bici che ostruiscono il passaggio. In alcuni punti la pavimentazione è tipo Sanpietrino, ma molto livellato e in ordine (non come a Milano o Roma). Basta fare un po’ di attenzione, guardarvi bene intorno e ascoltare i vari segnali di semafori e tram. Occhio: bici e tram sono ovunque, anche dove non vi immaginate. In compenso quasi tutte le strade vi sembreranno pedonali a giudicare dalle poche auto che vedrete in centro.
Amsterdam ha dei bellissimi e immensi parchi completamente percorribili in carrozzina. Ovviamente accessibili anche la maggior parte dei musei e dei grandi negozi. Pub e ristoranti a volte hanno gradini in ingresso, ma d’estate tutti apparecchiano anche fuori. Più complicato se vi interessa un Coffee-shop (per intenderci, quelli dove non si va per bere un caffè): la maggior parte ha dai 3 ai 5 gradini angusti per entrare (i più sono sotto il livello della strada). Fanno eccezione il Coffeeshop Oude Kerk, proprio fuori la Oude Kerk omonima e lo Stone’s Cafè in Warmoesstraat 59H, che ha un gradinetto di meno di 8 cm. Ce ne sono sicuramente anche altri, ma non è che son stata lì a girarmi tutti i coffee-shop di Amsterdam per dire a voi dove farvi una canna eh! Scordatevi invece la visita al Cannabis College - dove spiegano come funziona la faccenda droghe leggere ad Amsterdam e anche come sceglierla, rollarla o nebulizzarla - perché ci sta una bella scalinata per entrare. Se c’erano ingressi alternativi, io non li ho visti. Quasi tutti i negozi di tartufi magici hanno gradini e ingressi poco praticabili. Anche la Condomerie (famoso negozio indigeno, specializzato in vendita preservativi di ogni genere e foggia) ha un grosso gradino all'ingresso e un interno scarsamente particabile. Non è il genere di negozio che fa sentire ben-venuti i disabili, a dispetto di quel che commerciano.
Non so nemmeno spiegarvi se le camere per godere delle donnine allegre siano accessibili, perché c'erano solo donnine e non ometti, quindi non mi interessava. Grazie a qualche sbirciata, posso solo dirvi che le famose "vetrine" con la merce esposta sono spesso a pianterreno, senza gradini e che basta bussare alla finestra per chiedere informazioni alla donnina stessa. Comunque sono quasi tutte donne, quasi tutte davvero bellissime e disponibili… intendo a spiegarvi le cose.
Non vi aspettavate mica che io facessi una recensione di Amsterdam sorvolando su alcuni argomenti vero? Per quanto mi concerne, i disabili hanno diritto di peccare quanto gli altri.  
Ma torniamo alla parte di tour su cui sono più ferrata. Ecco una descrizione di accessibilità dei luoghi che ho toccato con mano, completamente gratuiti con la City Card, in tutto accessibili e con bagno per disabili:
1) La Blue Boat Company offre un lungo giro dei canali gratuito con la Card. Hanno dei battelli con pedana ampia e in grado di portare carrozzine grosse e pesanti. Per sapere quando parte il battello accessibile, basta andare alla biglietteria o addirittura avvisare telefonicamente il giorno prima, se volete una partenza precisa. Presentatevi per primi all'imbrarco, per agevolare le operazioni.
 
 
2) Amsterdam Museum
3) Artis Royal Zoo con la magnifica voliera delle farfalle (se la salita è per voi ripida, c’è l’ascensore) e vicino all’Hortus Botanicus. Meglio iniziare dal secondo e poi passare al primo se avete la City Card, altrimenti l’orto potete anche evitarlo.
 
4) Het Scheepvaartmuseum (Museo Marittimo Nazionale): anche la stiva della nave esterna è agibile con un montascale più che sufficiente per una grossa carrozzina anche a motore.
 
5) Hermitage Amsterdam
 
6) Science Center NEMO
 
7) Van Gogh Museum: presentatevi all’inizio della coda e ve la faranno saltare, ma il museo è solitamente così affollato che seduti sulla carrozzina vedrete poco più che le teste degli altri visitatori.
 
8) De Oude Kerk 

La Nieuwe Kerk era chiusa per lavori durante la nostra permanenza, ma credo sia ugualmente accessibile.
Sempre con la Card avrete poi degli sconti o dei gadget in altri posti accessibili:
- Heineken Experience: 25% in meno sull’ammissione. Il tour è tutto accessibile, incluso il simulatore, che però non godrete molto, perché la postazione sedie a rotelle è fissa, per evitarvi scossoni.  Vi daranno tre birre omaggio e vi consiglio di fare la pipì prima di entrare allo store, perché rientrare è un casino.

- Se andate all’Heineken Brand store, che sta da tutt’altra parte della città (Amstelstraat, 31), vi regaleranno un cavatappi in acciaio. Se usate l’app FourSquare, fate check-in e mostrate il cellulare alla cassa per avere sempre un cavatappi in omaggio.
- Gassan Diamond: il tuor ove vi mostrano la lavorazione dei diamanti e vi insegnano come valutare una pietra è gratuito anche senza Card e disponibile anche con guida italiana. Con la card, vi regaleranno due cioccolatini a forma di diamante.

- De Bijenkorf department store (centro commerciale tipo Rinascente): andate al customer service con la Card e vi regaleranno una grazioso barattolo di mentine che potrete rifilare come ricordo di Amsterdam alla nonna.
Non vi sto a dire cosa è più bello o meno, perché è soggettivo. Per quanto mi riguarda, il best sono stati il tour sul canale, il Rijksmuseum (la Card qui vi dà solo un piccolissimo sconto) e la visita a Gassan Diamond, ma se chiedete a mio marito vi parlerà solo dell’Heineken Experience e del Brand Store Heineken.

Non ho visitato la Casa di Anna Frank, perché avevo il forte sospetto fosse inaccessibile per buona parte, ma per le location su cui avete dei dubbi, consultate questo sito: http://www.toegankelijkamsterdam.nl/toegankelijk/toe_view.asp?lan_id=2&zok_code=toegankelijkheid_engels
Inserendo il nome del locale (include molti ristoranti, esercizi commerciali) o del museo di vostro interesse, uscirà una dettagliata scheda sull’accessibilità.

Se siete amanti del genere, l’Hard Rock Cafè è solo apparentemente inaccessibile: basta chiedere la pedana per il gradino in ingresso e dentro c’è un enorme montascale che nulla ha a che spartire coi trabiccoli striminziti che si vedono in Italia.
Se i serve un bagno accessibile, in qualsiasi parte del mondo siate, McDonald è la vostra salvezza, soprattutto col copriwater in silicone che vi portate sempre nello zaino attaccato allo schenale.

Amsterdam è comunque meravigliosa e romantica per i suoi panorami e i canali: sembra di stare a Venezia, ma senza scale, ponti inaccessibili, acqua alta e barriere architettoniche sui marciapiedi. Una città non perfetta, ma di gran lunga più agibile dello standard italiano.
Un ultimo consiglio? Compratevi uno smartphone, fatevi una tariffa internet estera (tipo Vodafone Passport) e invece di diventare matti con le cartine (trattandosi di Amsterdam, qui era meglio scrivere mappe), usate un’app come CityMapToGo (la prima città è gratis). Magari compratevi uno di quegli aggeggi che ricarica il cellulare in giro, perché ne farete fuori di batteria! Ricordate: ovunque voi siate, non c’è quasi nessun problema al mondo che non possiate risolvere con uno smartphone connesso a internet e un po’ di buon senso.

Credo di aver detto molto, ma non tutto. Ho volutamente omesso le informazioni che potete trovare sulle normali guide turistiche, che non son mica la Lonely Planet - anche se assumendomi migliorerebbero molto la parte sui disabili! 
Consideratemi a disposizione per qualsiasi chiarimento, non solo su Amsterdam.
Se viaggiare in sedia a rotelle vi è sembrato difficile leggendo questo report, è solo colpa della mia paranoica dovizia di dettagli. Vi dico questo: per quanto possa sembrare complesso, è molto più difficile girarsi Roma o Milano che prendere un aereo e volare via, soprattutto con un forte compagno di avventure.