giovedì 28 giugno 2012

I disabili veri sono puttane

I disabili veri sono puttane e come le puttane vere, solitamente lo sono perché non hanno alternative.
Se vivi seduto su una sedia a rotelle, hai solo due possibilità: mantenere intatto il tuo senso del pudore e del decoro, oppure fregartene e vivere. Io ho optato per la seconda, ma la maggioranza credo abbia scelto la prima opzione, dato che non vedo in giro moltissimi disabili pronti a tutto.
Il mio senso del pudore credo risulti disperso dal lontano 1993, quando per la prima volta feci un viaggio senza i miei genitori e decisi di partire col botto, prendendo un aereo con amici, per Miami.
Se sei normodotato, quando sali su un aereo, la tua più grande preoccupazione solitamente è: 
“E se precipita?”
Se sei disabile invece, il cruccio ossessivo connesso al volo è: 
“E se mi scappa la pipì sull’aereo?” 

Quando la tua prima vacanza indipendente comporta l’urinare in un cubicolo minuscolo, con la porta aperta,  un’amica che sta in piedi sul cesso per sfilarti le mutandine e uno stewart che fa da paravento per risparmiare la visuale ai passeggeri di prima classe, capisci che puoi sopravvivere a qualsiasi altra onta. 
Paradossalmente, sono contenta di aver iniziato con l’esperienza più assurda, perché ora so di poter sopportare di tutto, meno che un altro volo transoceanico.

Ad ogni modo, come potrei avere ancora senso del pudore? 

Sono disabile: solo per fare la pipì, almeno cinque persone diverse al giorno mi sfilano le mutandine. 

Se dovessi curarmi di certe cose, probabilmente non potrei permettermi di uscire di casa. Nella vita ho fatto di tutto, incluso chiudermi in bagno con un uomo appena conosciuto: o così o me la facevo addosso.
Non è che uno deve piacerti per andarci in bagno, anzi, di solito è meno imbarazzante se l'interesse sessuale non sussiste. Tuttavia, se stai davvero valutando qualcuno come partner, è inutile girarci intorno: prima o poi lo scoprirà comunque che, se vuole stare con te, dovrà seguirti persino nel bagno ed è meglio capire subito se è uno di quelli che se la sente oppure no. Io poi, personalmente, non riuscirei mai a stare con un uomo che non sia pure un bravo "badante".

Per fortuna, la maggior parte degli uomini se la cava con l’assistenza alla persona esattamente come col sesso: basta spiegargli chiaramente cosa vuoi che faccia e tutto va per il meglio.
Mi è capitato di sentire i discorsi di alcuni disabili, che sostenevano che se il tuo compagno/a è costretto ad aiutarti in "certe cose", poi è naturale che il sesso ne risenta. Perché invece avere una badante che ti spogli, ti vesta in modo sexy e poi si ritiri nella stanza a fianco mentre tu trombi come un riccio, salvo poi tornare a rassettarti e lavarti, dovrebbe mantenere vivo il rapporto? 
Certe cose le puoi pensare davvero solo se non hai un partner fisso, che tu sia su sedia a rotelle o meno.

Senza andare a cercare il disabile nel pagliaio, tutte le donne sposate convivono con uomini che girano per casa in mutande, facendo le cose più orribili in bagno mentre loro si truccano e, ciò nonostante, ci fanno ancora  sesso.
Ogni giorno prendo un treno, che mi porta a lavorare a quasi due ore di strada da casa e ovviamente al lavoro mica ci vado con parenti o badanti. L’unico modo in cui puoi fare una cosa simile è essere il tipo di persona che, dopo essersi presentata educatamente e aver messo a proprio agio il bipede, accompagna gradualmente l’ignaro verso un corso accelerato di certificazione OSA (Operatore Socio Assistenziale).
E, salvo emergenze, la scaletta è solitamente questa:
“Ti dispiacerebbe aiutarmi a sfilare il golfino?”

“Mi accompagneresti fino alla stazione, giusto per sicurezza, nel caso ci fosse un gradino” (E ovviamente tu il gradino sai benissimo che c’è).

“Avrei bisogno un accompagnatore per il Concerto più fico dell’anno: te la senti di accompagnarmi in macchina, aiutandomi a salire e scendere? I biglietti ovviamente sono gratis per disabile e accompagnatore.”

E poi al concerto ti scappa la pipì e siete solo voi due: grazie al cielo, in vita mia non ho mai incontrato nessuno che si tirasse in dietro nel momento del “bisogno”.

Questo accade abitualmente e nessun bipede rimane traumatizzato. L’importante è fare qualche battuta, fornire spiegazioni dettagliate ed avvalersi delle giuste tecniche di motivazione:
“Ma sei sicuro di non averlo mai fatto prima? Non ci credo!”

“Fai anche questa e ti rilascio il patentino da assistente personale di secondo livello.”

 “Superata questa rampa di scale, ti nomino accompagnatore dell’anno.”

E sì, perché l’unico ad avere paura, in questi casi, è proprio il normodotato. 
Finché il bipede non si sente sicuro di sé, non si corrono mai dei veri rischi e il disabile professionista lo sa. Le rare volte in cui ci si fa male, è sempre col super-esperto che palleggia la carrozzina da una mano all’altra e si esibisce in virtuosismi assistenziali, tipo spingerti su un sentiero di montagna con una sola mano, mentre nell’altra regge la terza birra.

Io in casa non ci resto e nemmeno voglio farmi le vacanze con mamma e papà o non esplorare posti nuovi senza la mia palla al piede consacrata tale dal sacro vincolo del matrimonio. Se essere "indipendente" significa essere sfacciata e mostrare le terga a Milano e provincia, sono pronta a farlo.

Essere indipendenti non significa cavarsela da soli, ma dipendere da così tante persone da non pesare su nessuno.

D'altronde dovremo pur dare occasione ai normodotati di sentirsi veramente utili e di guadagnarsi il paradiso. Non è forse scritto: “Aiuta il tuo prossimo”? Se tutti i disabili rinunciassero a farsi soccorrere per paura o senso del pudore, un sacco di bipedi finirebbero all’Inferno.

Quando si tratta di andare al bagno, io sono una meretrice: vado con chiunque, femmina o maschio che sia, però almeno non mi faccio pagare. Sono la Maddalena delle diversamente abili.
Di me non si potrà mai dire che sono una che non te la fa vedere manco col binocolo.

Dio mi ha dato una missione originale: redimere la gente porgendogli le terga anziché le guance.
Non importa che tu abbia peccato in pensieri, parole, opere e omissioni: porta in bagno un handicappato e sarai salvato, e magari pure in modo comico, se ti capita lo storpio giusto.


Foto: Zoo di Vienna - esempio di salita da praticare solo con accompagnatore esperto, cintura nera di spinta manuale. Con la mia scorta personale, siamo salite e scese, incridibilmente senza danni a cose e/o carrozzine: donne con le palle, ma pur sempre donne, quindi non ci siamo accorte che si poteva salire col trenino accessibile.

venerdì 8 giugno 2012

La scorciatoia più breve porta sempre nella direzione sbagliata

Questa mattina mi sono svegliata con la fissa dell’euristica della rappresentatività.  Sì, lo so: non è normale che il neurone concernente il vocabolo “euristica” si attivi alle sette del mattino senza l’ausilio di un caffè e forse, a ben pensarci, non è neppure tanto  ovvio avere un neurone che contenga il vocabolo “euristica”.

Sebbene io sia una persona di cultura sostenibile, possiedo neuroni decisamente saccenti.

Lasciate quindi che vi spieghi in termini semplici, e pure un po’ borgatari, a quali conclusioni mattutine è giunta la mia mente malata.
Partiamo appunto dalle euristiche: un termine da sboroni per dire che le persone non agiscono sulla base di procedure logiche, ma prendendo delle scorciatoie del cazzo, che spesso li portano a conclusioni sbagliate. In pratica, quando ci troviamo di fronte a delle decisioni da prendere, non è che ci mettiamo lì ad analizzare razionalmente i dati, ma ci basiamo sull’intuito o sulle poche conoscenze, dirette o indirette, che abbiamo. Più la nostra conoscenza del quadro è concreta ed approfondita, più queste euristiche ci aiutano a ad agire in modo efficace e rapido. Il problema è quando ne sappiamo poco.
L’euristica della rappresentatività rovina la vita della maggior parte delle minoranze, disabili inclusi.
Tale scorciatoia mentale fa sì che le persone attribuiscano caratteristiche simili a cose che sembrano simili, spesso ignorando informazioni che dovrebbero far pensare il contrario. E’ così che tutti gli albanesi diventano potenziali ladri e stupratori: perché la televisione ci parla solo di quelli che lo sono e magari non ne conosciamo personalmente nemmeno uno.
Ed è così che nascono pure gli stereotipi sui disabili: creature fragili, emarginate, malate, bisognose del conforto della fede.
Infondo il contesto in cui è più probabile che un bipede veda un disabile, è la S. Messa in TV.
Il problema vero, è che poi, quando si trovano ad interagire con i disabili in rotelle e ossa, i bipedi applicano tale euristica della rappresentatività, lasciando trasparire le idee sottointese alle loro esternazioni. Il fatto poi che si trovino di fronte all’evidente infrazione ai propri preconcetti, spesso non basta a cambiare le euristiche stesse.

Così capita che ti vedano limonare con tuo marito in spiaggia e ti dicano:

“Che bello vedere due fratelli così uniti!” 
Perché i disabili sono creature asessuate, che se scambiano un bacio è sempre un bacio fraterno, a prescindere dai metri di lingua introdotti.
“Buongiorno Signorina.”
Perché tutte le disabili rimangono single a vita, oppure si sposano con disabili maschi: possibile, ma altamente sconsigliato.
“E’ stato un incidente d’auto?” 
Perché il disabile carino ha avuto sempre un incidente.
“E’ distrofia vero?”
Perché l’unica malattia genetica che di mette su una sedia a rotelle è la distrofia e quel giorno non ti sei truccata, quindi è evidente che sei disabile dalla nascita.
“Vai al mare con mamma e papà?”
Perché solo i tuoi genitori verrebbero in vacanza con te, fino alla morte.
“Ah, non vai con i tuoi? Con quale associazione vai allora?”
Perché solo dei bravi ragazzi che fanno volontariato andrebbero in vacanza con i disabili.
“Sei già stata a Lourdes?”
Perché i viaggi della speranza sono la massima aspirazione del disabile. Altro che Maldive: un viaggio della Madonna!
“Che brava, ti piace leggere? Ho a casa una sacco di Topolino di mia figlia, se vuoi.”
Perché il disabile ha un sacco di tempo libero per leggere, ma non è detto che sappia farlo o che abbia i soldi per comprarsi i fumetti.
“Posso offrirti un’aranciata o una Coca-cola? La puoi bere la Coca?”
Perché, nonostante non si regga in piedi, il disabile non beve, non assume sostanze stupefacenti (se non a scopo terapeutico), né caffeina, perché se no poi magari si agita troppo.
“La vuoi una caramella?”
Perché i disabili sono ghiotti di dolciumi.
“Posso aiutarti a scendere dal treno?”
Perché anche se sei su una sedia a motore da 10.000 euro, una sedia a rotelle va sempre spinta.
“Sei qui da sola?! Posso farti compagnia?”
Perché il disabile solo si sente smarrito.
Insomma, potrei andare avanti all’infinito… E’ così che pure nella mente del disabile si creano delle euristiche sui bipedi. A quelli che non frequento abitualmente, cerco di parlare usando termini semplici, perché se sentono la parola “euristica” uscire dalla bocca di un disabile è facile che propendano per le difficoltà di articolazione: “Tesoro… non capisco cosa dici. Amore… riesci a scrivermelo su un foglietto?”.
Così  tratto tutti i bipedi sconosciuti come se fossero un po’ lenti di comprendonio, scandisco bene le parole, limito le battute perché mi prenderebbero comunque sul serio e, se vedo un bipede in mezzo al passo, cerco di sterzare io, perché i loro riflessi sono più lenti.  

sabato 2 giugno 2012

Il mistero della fede, che non ho

Il Papa in questi giorni è a Milano e un sacco di gente si aspetta che io, in quanto disabile, sia interessata all'evento. L'altro ieri, addirittura, un collega pendolare ha mostrato interesse per le sorti della mia anima:

"Non vieni a vedere la Messa del Papa? Se partecipi, c'è l'indulgenza plenaria."
"Se il Papa vuole essere perdonato, deve venire a Lui a casa mia e comunque non garantisco." 

Le persone spesso non capiscono che credere è più difficile per un disabile, soprattutto a causa delle risposte del cazzo che ti propinano i religiosi.

"Perché proprio a me?"

"Perché Dio mette alla prova i suoi figli più amati."
"Con tutte le persone a cui sto sul culo, proprio a Lui dovevo piacere?!"

"Il male non viene da Dio, ma dall'uomo..."
"Sì, ma se Lui è onnipotente, invece di stare a guardare, potrebbe rimediare. Io questa la chiamo 'omissione di soccorso' ed è un reato."

"Tramite persone come te, Dio dà agli uomini la possibilità di redimersi."
"Punirne una per educarne cento? Come i terroristi..."

"La tua condizione ti offre una via preferenziale verso il Regno dei cieli."
"Mi creda Padre, con tutte le maledizioni che tiro, la mia condizione mia ha spianato da un pezzo la strada per l'Inferno."

"Ognuno porta la sua croce."
"Con tutto il rispetto, la sua mi pare leggerina. Non è che per un po' mi regge questa? Pure con Gesù l'hanno fatto!"

"Il calvario è redenzione, per te come lo è stato per Cristo."
"Pure lui bestemmiava lungo il tragitto?"

"E' colpa del peccato originale."
"Puttana Eva!"

"Devi avere Fede!"
"Per Carità, non mi tiri fuori le virtù teologali, perché non c'è Speranza!"

Sono risposte come queste, che escono irriverentemente dalle mie labbra, a farmi sperare che il Dio cristiano infondo non esista, perché altrimenti la mia sorte ultraterrena è segnata.

La verità è che i Padri religiosi non hanno mai imparato la regola d'oro di ogni padre laico: quando tuo figlio entra nella fase del "perché?", l'unica risposta possibile, spesso è: "perché sì".
Eppure dovrebbero saperlo, dato che sono i preti ad aver inventato il "mistero della fede", che non è altro che un modo gentile per dire: "non lo so, ma lo ha detto Lui".

Se sto cercando di diventare atea è grazie alla Chiesta: Una, Santa, Cattolica e Apostolica. 
Per anni sono stata praticante e addirittura catechista. A dirla tutta, non solo all'Università Cattolica ho sostenuto i tre esami obbligatori di Teologia, ma li ho addirittura superati cum laude. E, a ben vedere, questa mia discreta conoscenza della Chiesa e delle Scritture non è che abbia reso un gran servizio al Dio cristiano. A volte mi sento un po' come il diavolo: in grado di citare correttamente le Scritture, non esattamente al fine della catechesi.

Potrei insinuare un sacco di dubbi ai credenti, ma non lo faccio per il semplice motivo che li invidio.
Io vorrei poter credere, per avere qualcuno con cui incazzarmi. 

E' inverosimilmente frustrante trovarsi di fronte alla sofferenza e all'ingiustizia e non potersela prendere con nessuno. Ed è ancora più frustrante pensare che se non riesco a credere è probabilmente colpa di Dio. 

Dio mi ha donato troppo senso critico per riuscire a credere in Dio.

La fede del resto, pare sia un dono, che evidentemente non ho ancora ricevuto. O forse è un dono che ho perso il giorno in cui una suora mi disse:

"Se avessi tanta fede quanto un granello di senape, saliresti queste scale."
"Madre, se lei avesse fede quanto un granello di senape, mi porterebbe in braccio."

Lei non volle nemmeno provarci a sollevare sessanta chili di disabile e io non accetto che qualcuno con una trave gigante nell'occhio fissi la mia pagliuzza.

Se devo ritenere che sia colpa mia, allora preferisco credere nella reincarnazione e pensare che sia stata una scelta. 
Ho deciso di reincarnarmi in una disabile, perché nella vita precedente pensavo di essere abbastanza forte da sopportarlo e trasmettere dei messaggi che un giorno potrebbero cambiare una piccola parte di mondo. Probabilmente ho sovrastimato le mie capacità, ma continuerò a impegnarmi sino alla fine. Però, per la prossima reincarnazione, prenoto subito un fisico perfetto, un pacco di soldi e diverse case nelle località più suggestive del mondo. 

Dopo questa vita, mi ci vuole proprio una vacanza!