venerdì 27 luglio 2012

Come Guru faccio schifo

Mi sono sempre considerata una persona con una profonda religiosità interiore, sfortunatamente, pare non esista alcuna religione attualmente riconosciuta che incarni le mie credenze. Così, oggi mi sono svegliata e mi sono detta che potrei fondare una religione. Infondo, prima di creare Scientology, L. Ron Hubbard scriveva romanzi di fantascienza. Per quello che ne sappiamo, forse pure l’autore della Bibbia voleva solo scrivere una saga fantasy, solo che invece di parlare del Signore degli Anelli, parla del Signore e basta.

Insomma, ho una laurea in psicologia: dovrei conoscere abbastanza l’animo umano per abbozzare una religione decente. Sicuramente della natura umana ne capisco molto più di un qualsiasi Dio che basa i suoi insegnamenti su una sfilza di proibizioni. Possibile che l’Onnisciente non abbia mai capito che c’è gente che si mangerebbe pure le mele pur di infrangere un divieto?

Ecco, nella mia religione non ci sarebbero proibizioni, ma solo un consiglio: fa quello che vuoi, cercando di non stracciare le gonadi agli altri. Un po’ quello che aveva detto Gesù, ma senza l’obbligo di amare.

Poi, invece di inserire una sfilza di divieti e comandamenti, direi che potrei basare la mia Chiesa su una serie di raccomandazioni. Del tipo che è meglio per te se le rispetti, ma se pure le infrangi, sono fondamentalmente cazzi tuoi, purché ne accetti le conseguenze.

Nei miei 37 anni di vita ho capito ben poco, di me e degli altri, e non sono approdata a nessuna grande verità assoluta. Tuttavia, ho escogitato delle strategie che mi permettono di affrontare diverse cose nella giusta prospettiva. Non che mi facciano sentire necessariamente meglio, ma perlomeno rappresentano un approccio realistico alla vita.
Tra le mie auto-raccomandazioni, quelle che preferisco sono:
1)      Evita di dire “buongiorno” prima delle otto del mattino, soprattutto se non vi sono evidenze empiriche in proposito.
2)      Se hai bisogno di certezze, ogni mattina, appena sveglio, ingoia una rana viva e sarai relativamente sicuro che nulla di più schifoso potrà accaderti per il resto della giornata.
3)      Per quanto tu sia sfigato, cerca di negare sempre l’evidenza, persino con te stesso.
4)      Ricorda che una sega e basta è sempre meglio di una sega mentale.
5)      Non analizzare le recondite motivazioni dei comportamenti altrui, sempre che, ovviamente, tu non sia pagato per farlo.
6)      Non preoccuparti dei malumori di chi ti circonda: se sono tristi, depressi o infelici e ritengono che tu possa/debba farci qualcosa, troveranno il modo di romperti le palle.
7)      Ricordati quanto più possibile che lavori per vivere e non vivi per lavorare.
8)     Prima di fare o non fare qualcosa, chiediti come ti comporteresti se fossi certo di morire entro l’anno.
9)      Se ritieni di aver subito un‘ingiustizia, ribellati, vendicati, rassegnati o bevici sopra, ma non fare la piattola.
10)   A meno che tu non abbia sintomi rilevanti, non scavare nell’inconscio: se una cosa sta lì dentro, c’è sempre un ottimo motivo.
11)   Se ti interroghi troppo sui grandi temi universali, o sei depresso o sei sbronzo.
12)   Goditi l’esistenza cercando di non accorciartela troppo nel mentre.
13)   Non pensare mai di avercela fatta, perché la vita ama contraddire.
14)   Se puoi scegliere tra piangere o mandare affanculo, non dovresti avere dubbi.
15)   Non esiste serenità perenne che non contempli una lobotomia.
16)   Se guardi sotto il letto, scoprirai che non c’è proprio nulla di cui aver paura: lo sa anche l’uomo nero nell’armadio.
17)   Quando ti senti di merda, ricorda che prima o poi ti stuferai di sentirti di merda.
18)   Non bere troppo se non sei pronto ad affrontarne le conseguenze.
19)   Prima di rispondere male a qualcuno, conta fino a dieci: ti verranno in mente più insulti.
20)   Segui le indicazioni del tuo medico, tranne quando ti dice entro quanto morire o ti vuole infilare qualcosa su per il culo.
Ecco, non è che queste massime mi rendano esattamente felice, ma diciamo che nella vita a volte si vince e a volte bisogna accontentarsi di limitare i danni.
La verità è che oggi mi sento di merda, quindi forse dovrei rimandare a domani il concepimento di una nuova religione. O forse no, perché infondo tutte le religioni non fanno altro che ricordarci che non viviamo in un mondo ideale e che per questo a volte ci sentiamo uno schifo. Solo che io non sono affatto convinta che esista da qualche parte un mondo migliore in cui essere sempre felici. Non sono nemmeno convinta che si possa essere felici senza essere mai tristi.
Come riconosci il bianco se non hai mai visto il nero?
Non sono certo io la prima ad esserselo chiesto, altrimenti ci avrei messo le royalties su sta frase.
A volte siamo troppo impegnati a guidare a cento all'ora per chiederci se stiamo davvero guidando nella direzione desiderata. E le nostre paure, ci piaccia o no, ci costringono a farmaci un momento e, talvolta, a reimpostare il navigatore.
Se solo imparassi a viaggiare a velocità di crociera,  anziché correre come una pazza e schiantarmi saltuariamente, forse potrei essere un vero santone. Però posso sempre far finta. Che ci vuole infondo per sembrare un Guru? Basta attenersi al Decalogo Strategico del Figo Supremo:
1) Se ti pongono una domanda che prevede una risposta dicotomica del tipo sì/no o questo/quello, dì sempre: “Dentro di te conosci già la risposta.”

2) Se ti chiedono un parere in generale, rispondi sempre con una metafora.
3) Se non sai cosa dire, non dire nulla, ma con sguardo vacuo.
4) Qualsiasi cosa accada, non dire mai agli altri come dovrebbero comportarsi.
5) Se qualcuno ti ringrazia per averlo aiutato, rispondi sempre: “Hai fatto tutto da solo”. Se sei stato bravo, infondo è vero.
6) Se vuoi sembrare particolarmente saggio, parla il meno possibile e sempre dopo che gli altri si sono scolati almeno due cocktail.
7) Non cercare mai di fare il Guru con chi ti frequenta da più di sei mesi.
8) Fai in modo che chi ti frequenta da più di sei mesi non incontri mai chi ti considera un Guru.
9) Ogni volta che scrivi un decalogo, non inserire mai il decimo punto.

Ecco, ora potete essere anche voi dei Guru: non ho altri segreti o verità da svelare.
Ah no, forse una cosa ancora:
il segreto di una vita veramente piena, non è essere felici, è essere incazzati.

mercoledì 18 luglio 2012

Vantaggiosi svantaggi

Che fare quando un disabile eccede nell'affrontare i suoi "svantaggi" sino al punto di trasformarli in "vantaggi"?
Questo è un tema che mi affascina, perché evidentemente è un problema per i normodotati più di quanto vogliano ammettere.
Partiamo dal presupposto che la moderna società (specie in Italia) non fa un gran che per fornire ai disabili occasioni di, non dico emergere, ma quanto meno accedere al consorzio bipede. Non solo le barriere architettoniche stentano a scomparire, ma ogni giorno vediamo sorgere fulgidi esempi di strutture moderne che non lasciano dubbi circa il fatto che, chi le ha progettate, non ha la più pallida idea di cosa sia un disabile. Quanto ai buoni propositi legislativi per l'integrazione sociale, credo che i più ne ignorino l'esistenza, altrimenti ci si pulirebbero direttamente le terga.

Personalmente, quando i pensieri mi tengono sveglia la notte, prendo in mano la mia copia rilegata, consunta dall'uso, della Legge 104/92. La leggo e la rileggo come fosse la favola della buonanotte, provando a immaginare il mondo fantastico in essa descritto. I miei due passaggi preferiti recitano:

adeguamento delle attrezzature e del personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali

provvedimenti che assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e la organizzazione di trasporti specifici

Ma non sono io la sola a considerarla una favola. Ogni volta che scrivo a qualche gestore dei mezzi di trasporto pubblico, lamentandone la non accessibilità, cito codeste leggi e regolamenti e di solito mi rispondono: "See... buonanotte!"

Ma cosa accade quando, nonostante tutto, ce la fai?
Cosa accade se, dopo anni di lotte, sacrifici, delusioni, sconfitte e compromessi, arrivi comunque là dove arrivano altri normodotati senza sbattersi tanto?

Una possibilità, è che faremo la fine di Oscar Pistorius e di Michael Johnson. Saremo atleti amputati che, dopo aver lavorato su di sè al punto da accettare quel che sono e lavorare con quel che resta, si vedono negare la possibilità di vincere davvero.
Perché è questo il problema: vincere davvero.
Anche se un giorno verrà concesso loro di gareggiare con gli altri, ci sarà sempre qualcuno che, in caso di vittoria, dirà che non se la sono guadagnata VERAMENTE, perché partivano "avvantaggiati".

Non importa quanto questi atleti abbiano sofferto e lavorato più degli altri per arrivare dove sono arrivati. Non importa cosa abbiano perso, nè le lacrime, il sangue e il sudore aggiuntivi che hanno sputato: quando vincono, tutto ciò che vede un normodotato è il vantaggio aggiuntivo di due protesi in fibra di carbonio.

Mi chiedo quanti altleti siano oggi stimati semplicemente perchè hanno primeggiato dopandosi in modo più astuto. Quanti campioni amiamo semplicemente perchè non sappiamo a quali stratagemmi sono ricorsi per vincere?
Taluni paragonano gli arti di carbonio al doping. Eppure non mi pare che qualche atleta amputato abbia mai sentito il bisogno di nascondere il fatto che calzasse la sua sostanza dopante. Forse, infondo, avrebbero dovuto provare a farlo.

"Perchè gareggi con i pantaloni a zampa di elefante?"
"Ho così freddo che non mi sento più i piedi..."

Per come la vedo io, se un vantaggio c'è nell'indossare queste protesi durante una gara, allora dovrebbe essere calcolabile scientificamente. Stabiliamo che le protesi danno x% in più all'atleta e facciamolo partire con uno svantaggio proporzionale. Non sarebbe certo la prima né l'ultima volta che un disabile arriva comunque al traguardo nonostante un po' di handicap in più. Ma anche così, se mai dovesse vincere, nessun bipede gli riconoscerebbe davvero la vittoria.

Ci sarebbe sempre l'insinuazione che, se non fosse stato disabile, non sarebbe arrivato dov'è.
E sapete che vi dico?
E' maledettamente vero!

Giorno dopo giorno incontro normodotati che non hanno fatto nemmeno la metà delle cose che ho fatto io. Giorno dopo giorno non posso fare a meno di chiedermi cosa sarei se non fossi nata disabile e la risposta è invariabilmente: "sarei molto meno di così".

Dicono che l'essere umano, per dare il meglio di sé, abbia bisogno di sfide. Se le cose stanno davvero in questi termini, biologicamente parlando, siamo gli esemplari destinati a dare di più.

Per frequentare l'università, ho dovuto lottare con ottusi assistenti sociali, fare esposti, scrivere a ministri, vincere borse di studio con cui pagare auto e benzina, pregare Magnifici Rettori per far spostare lezioni da aule inaccessibili e ingraziarmi tutti i bidelli delle strutture per farmi dare le chiavi di bagni utilizzabili e ascensori.

Vi assicuro che studiare, confronto a tutto ciò, è stata una bazzecola.

Ciò nonostante, c'è chi dice che, se oggi ho un lavoro e nemmeno particolarmente malvagio, è perchè mi hanno assunta come categoria protetta.
Di solito rispondo che, se vogliono lo stesso trattamento preferenziale, mi offro di passargli sulla colonna vertebrale con una carrozzina da 80 chili.

Posso però capire anche le reazioni dei normodotati di fronte a certi disabili: deve essere frustrante pensare che uno che manco cammina da solo riesca a superarti.

Essere disabile non è facile, non è divertente e sicuramente non è un'opzione che valuteresti se avessi la possibilità di scegliere. Ma alcune cose della vita accadono e basta e a quel punto hai solo due possibilità: arrenderti o provarci comunque.

E non importa cosa ne pensino i normodotati. Non importa che commentino ogni nostro successo con un "nonostante il suo handicap". Non importa neppure che pensino che, se siamo arrivati dove siamo arrivati, è perchè qualcuno o qualcosa ci ha "avvantaggiati" in virtù della nostra condizione. Noi ogni giorno vinciamo. Vittorie piccole o grandi che siano, ma comunque indicative del fatto che non ci siamo mai arresi.

Nel bene e nel male, i disabili sono ciò che sono, non "nonostante il proprio handicap", ma GRAZIE al proprio handicap.

E allora lasciamo ai bipedi le loro piste di atletica, perché quando sei meglio di loro, dovresti smetterla di cercare ancora di dimostrare  di essere come loro.

Bipedi, avete così da correre per raggiungerci! ;)

N.d.r.: se continuerò a esprimermi per aforismi e assunti universali, dovrò convincermi a fondare una nuova religione.

martedì 3 luglio 2012

Non si fa: disabile cattiva!

Non è facile mantenere una condotta onesta quando buona parte della società ti considera una creatura debole e innocente, a prescindere dalle tue azioni efferate.
I bipedi che non vivono a stretto contatto col disabile hanno oscure fantasie circa la nostra indole: ci guardano come fossimo angeli caduti dal cielo che, presumibilmente, oltre a perdere le ali, hanno riportato gravi danni alla colonna vertebrale. E sì che la Bibbia lo dice chiaramente che gli angeli caduti sono gli angeli cattivi, ma alla fine il bipede vede sempre quel che si aspetta di vedere.
Per uno strano scherzo del destino, io poi mi chiamo pure Angela e alcune persone mi frequentano con l'assurda certezza che io sia qui per salvarle da se stesse. Mia madre ci provò a darmi un nome non convenzionale, scomodando persino i Rolling Stones. Ma complici un neo-padre confuso, un impiegato dell'anagrafe anticolonialista e una prozia il cui funerale improvviso impedì a mia madre di affrontare un intervento, mentre era inconsapevolmente incinta della sottoscritta, fecero di me un'Angela.

Bastava interrogarsi sulle assurde coincidenze e le perverse casualità che determinarono la mia nascita, per comprendere che il Diavolo ci stava mettendo lo zampino.

Ad ogni modo, probabilmente per via della dissonanza con la mia indole, tra le pareti domestiche nessuno mi ha chiamato Angela, ma Engy, scritto con la "E", perché ai tempi dei miei, mica s'insegnava l'inglese nelle scuole.
Io sono sempre stata Angela solo a scuola o al lavoro, ovvero quando è fondamentale convincere chi hai di fronte della tua natura benigna. Considerando quanto poco fisionomista sono, è un gran vantaggio sentirsi chiamare "Angela" o "Engy": capisco subito se devo sembrare buona o se posso essere me stessa. Ma come fate voi bipedi a distinguervi gli uni dagli altri? Camminate tutti allo stesso modo!

Devo comunque ammettere che non serve essere un genio del male per convincere il prossimo deambulante dell'innata bontà dell'ingroppato. Come se nascere con un grave deficit motorio ti rendesse automaticamente santo anziché incazzato nero.
Io ne approfitto dalla prima elementare, quando le suore mi davano la chiave della stanza dei giochi, per impedire che le bambine che correvano in cortile mi facessero cadere. Poiché mi era concesso portare con me due amichette, presto istituii un racket molto redditizio: in cambio dell'accesso alla stanza delle meraviglie, esigevo pagamenti in figurine, gadget dei cartoni animati e merendine. Non mi avesse scoperto mamma, ora sarei più grassa e ricca di Jabba the Hutt.
Da allora comunque ho interrotto la carriera criminale, ma non ho mai rinunciato a qualche piccolo "privilegio" ottenibile grazie alla mia condizione.

Oltre a essere disabile, ho delle ciglia lunghissime e non ho paura di sbatterle.

Quando sono in treno e si avvicina il controllore per chiedere il biglietto, inizio a far finta di armeggiare con la cerniera, accentuando le manine storte, perché non ho voglia di ravanare nella borsa di Mary Poppins alla ricerca di un biglietto. Di solito, basta mettere fuori la linguetta con espressione concentrata, per indurre qualsiasi controllore a dire imbarazzato:
"Lasci, lasci... va bene così!"

A volte invece, ci ferma la stradale. Di solito basta che scorgano il cartellino invalidi per ottenere un "Vada, vada", ma quando decidono di esibire la propria equanimità sottoponendo a controllo persino l'auto di un'invalida, non posso fare a meno di raccogliere il guanto di sfida e vedere fino a che punto siano disposti a procedere. Finora, tutti si sono fermati al primo atto: disabile prossima all'attacco d'ansia che chiede delucidazioni confuse all'accompagnatore.
"Che succede? Eh, che succede? Non capisco... cos'è successo? Mi manca l'aria... di nuovo!"

E poi ovviamente si sfodera l'espressione da disabile triste ogni volta che si deve affrontare una coda o si vuole entrare nel camerino di un cantante dopo il concerto. In pochi secondi compare all'orizzonte qualcuno che, con cavallo e armatura scintillante, urla in mezzo alla folla: "Lasciate passare! Venga signorina: la scorto io."
Per anni ho sfruttato la scusa del disabile per passare prima agli esami accademici: se tanto ti devono interrogare, ho sempre pensato fosse meglio togliersi subito il pensiero, anziché ascoltare gli esami prima del tuo e togliersi il dubbio di non sapere un cazzo.

Paradossalmente, ciò non funziona al supermercato, ove il diritto di precedenza alla cassa prioritaria è sancito da regolamento. E lì, invece della faccia da disabile triste, devi esibire l'espressione glaciale alla Clint Eastwood e muovere nervosamente la mano sul joistick, comunicando con lo sguardo: "Questa carrozzina da 100 kg. non si fermerà, qualsiasi cosa incontri sul percorso".

Quando poi le persone non ti conoscono, è incredibilmente facile essere scagionata da qualsiasi sospetto grazie ai pregiudizi altrui.
"Te lo ha detto Angela di rubare i biscotti? Oltre che ladro sei pure bugiardo!"

"Non si danno spintoni alle persone disabili! E non dire che è stata lei a cominciare, che fai piangere Gesù!"

"Se fai fatica a tenere riga e squadra, ti aiuto io col disegno tecnico."

"Sei pronta oggi per l'interrogazione? Hai fatto tardi a causa della riabilitazione... Facciamo domani o preferisci settimana prossima?"
"Di chi sono questi preservativi? Di Angela? E ti aspetti che io ci creda?!?"

"Chi si è fatto una canna qui dentro? Almeno abbiate la decenza di non fumare nella stessa stanza di una persona disabile!"

"Tranquillo: siete solo due candidati per quel posto di lavoro e l'altra è sulla sedia a rotelle."

Essere sottovalutati è scocciante, ma spesso torna utile e non solo a me.
Ogni volta che mio marito o i miei amici vogliono ottenere sconti e servizi aggiuntivi, mi dicono:
"Io parlo. Tu fai la faccina da disabile."

L'espressione da disabilino affranto è più letale degli occhioni del Gatto con gli stivali di Shrek.

Avessi avuto un'inclinazione per il crimine, sarei stata un corriere perfetto: sotto il sedile di una carrozzina, non controlla mai nessuno. Senza contare che ogni volta che supero le barriere antitaccheggio di un negozio, la carrozzina a motore fa suonare l'allarme e la sicurezza si scusa imbarazzata, senza perquisirmi. Potrei darmi al furto senza destrezza e nessuno sospetterebbe di me.

Uno di questi giorni ucciderò qualcuno, solo per dimostrare che il delitto perfetto esiste. Non mi accuserebbero nemmeno se il cadavere mostrasse impronte di pneumatici da B600 sul cranio sfondato.

C'è una sola cosa che mai ho fatto e mai farò: sfruttare la mia disabilità per avere permessi e giustificare assenze sul lavoro. Già le aziende si fanno la fantasia che "disabile" significhi "cagionevole di salute", se poi ci aggiungiamo esperienze con disabili fancazzisti che approfittano della propria condizione per non lavorare, ecco che la categoria si frega con le sue stesse ruote.
Per esperienza posso dire che, più il disabile sembra grave ad occhio normodotato, più lavora. Ma le aziende si ostinano a cercare disabilità non evidenti, secondo l'irrazionale principio che "se non si vede, non può essere tanto grave". Certo, come no? A volte credo che un oncologo abbia molto da insegnare a chi si occupa di risorse umane.

Personalmente non sfrutto neppure i permessi della Legge 104, se non nelle occasioni in cui la burocrazia riservata ai disabili non mi costringa a presenziare altrove, per risolvere questioni legate ai Quattro Cavalieri dell'Apocalisse: ASL, INPS, ACI e, un tempo, collocamento mirato. Talvolta prendo un giorno anche per qualche visita, ma sempre compatibilmente con gli impegni lavorativi. Il bello della 104 e non dover esibire certificazioni mediche per andare dal ginecologo.

Del resto, al lavoro trovo vitto, trasporto e assistenza: chi me lo fa fare di stare a casa?
Come se ciò non bastasse, solo un lavoro onesto e un titolo altisonante come "consulente" o "esperto" ti garantiscono di incontare orde di bipedi senza che questi, vedendoti su una sedia a rotelle, s'interroghino innanzi tutto sulle tue capacità intellettive.

Il mio ufficio è uno dei pochi posti al mondo in cui, chi entra e vede un disabile, lo saluta con "Buongiorno" e non "Ciao" o "CucciCucciCucciCu".

Confesso poi di preferire le attività di selezione del personale, essenzialmente perchè non mi basta essere trattata alla pari dai bipedi: io voglio incutere soggezione! ;)

Ma la verità è che infierisco solo su coloro che se lo meritano. A volte la nostra "diversa abilità" consiste nell'assecondare gli stereotipi altrui. Per questo non mi occuperò mai di disabili: tutti gli handicappati meritano le mie stesse chances d'infinocchiare il prossimo.

Comportarsi come la gente si aspetta debba comportarsi un disabile non è imbrogliare: io lo chiamo "rispettare le credenze altrui".

Passo metà della mia vita a dimostrare che sono in grado di fare più cose di quanto non si pensi e l'altra metà a fingere di saper fare meno cose di quante ne sappia fare.

A volte mi comporto da disabile cattiva. Spero solo che anche S. Pietro si faccia ingannare dalla sedia a rotelle.