giovedì 29 novembre 2012

La milanese e la varesotta

Nella vita credo non avrei mai potuto essere qualcosa di diverso della pendolare. Non per autolesionismo, ma per idiosincrasia. Se da un lato ci sono cose del bauscia tipo che mi procurano l'orticaria, dall'altro sono decisamente allergica alla lobotomia del provinciale medio.

Partiamo da questo: ogni tanto mi capita di incontrare alcuni membri della vecchia compagnia dell'oratorio - ebbene sì, sono stata una brava ragazza anche io - e ciò che non riuscirò mai a capire è come sia possibile che in un paese di 3,69 km² si riesca a trovare la propria anima gemella, spesso senza nemmeno varcare i confini territoriali. Possibile che ci siano persone che incontrano l'amore solo a chilometri di distanza, mentre dalle mie parti scovi il partner ideale bussando alla porta accanto? Può sempre essere che Cupido abbia residenza proprio a 'Bulà', per quel che ne so. E io che lo facevo tipo da Verona, con tanto di balcone degli innamorati! Anche la sottoscritta del resto si è beccata qualche frecciata quando bazzicava di più la zona, ma mi è passata al volo il giorno in cui compresi che nessun bravo ragazzo di provincia avrebbe avuto palle sufficienti per convivere con una disabile. La campagna non tempra più lo spirito come un tempo e forse nemmeno il corpo, dall'invenzione del trattore. Persino Banderas ha messo su pancetta da che sta al Mulino.
Per trovare l'uomo giusto, io mi sono dovuta spingere fino al cuore pulsante del commercio lombardo.

Solo Milano poteva generare una creatura abbastanza forte da sopravvivere all'inquinamento e così abituata all'anossia cerebrale da riuscire a convivere con una personalità asfissiante come la mia.

Ricordo che appena mio marito si è trasferito nella ridente provincia di Varese, è rimasto sconvolto da due cose: il fatto che l'unico cibo d'asporto procacciabile entro 20 chilomestri fosse la pizza e quella strana sensazione di leggerezza alla testa. Lui pensava fosse amore, io già sapevo che era l'eccesso di ossigeno.
E' la storia della mia vita: chi per via delle difficoltà di spostamento dovrebbe studiare, lavorare e amare vicino casa, finisce sempre col trovare ciò che desidera solo attraversando l'intera Terra di Merdor.

Che ironia: la mia vita è a leghe di distanza, ma ho la sede della Lega sotto casa.

Eppure le mie compaesane non sembrano infelici, sebbene la massima aspirazione comune sia sposarsi, trovare impiego alla materna e lavorare fino al giorno in cui  non riusciranno a creare nuovi piccoli clienti per la struttura. Le incontro in giro per il paese: vanno a spasso con la carrozzina e diversi piccoli bipedi al seguito, negli stessi posti ove io faccio fare pipì al cane. Eppure sono felici: l'aria è trasognata, sempre carine e pazienti con questi cosini urlanti che gli si arrampicano addosso da tutte le parti. Nonostante le occhiaie da opossum e i capelli da istrice, parlano con tutta la flemma del mondo e sembrano molto più serene e sorridenti di me. Ogni volta ci diciamo le stesse cose:

"Oh, ma che bel bambino! Questo è nuovo mi pare..."
"Eh, già... e tu lavori sempre a Milano?"
"Sempre."
"Non so come fai: avanti e indietro tutti i giorni!"
"Anche per te non deve essere facile... dentro e fuori dalla sala parto"

Voglio sottolineare che non ci vedo proprio nulla di male, solo che io ci impazzirei nei panni loro. Non riesco poi a capacitarmi di come quello stile di vita possa essere il sogno di quasi tutto un paese, per quanto piccolo. Ogni tanto ci chiudono l'acqua con la scusa dell'Atrazina, ma secondo me versano nelle falde acquifere ettolitri di Lexotan. Io, per non sbagliare, bevo solo acqua in bottiglia... puta caso che mi svegli con la voglia di dar seguito alla progenie del male.

Dal lato opposto poi trovi i mialnesi. Uomini e donne fa poca differenza: usano lo stesso gergo metropolitano, sono sempre di fretta e ucciderebbero la loro prole per un posto a sedere sull'autobus. Il milanese per antonomasia si riconosce perchè si alza la mattina e inizia a correre, un po' come la gazzella che non sa che il leone è morto anni fa a causa dello smog. La donna milanese non si capisce se è più in carriera o in corriera, ma questo non le impedisce di avere uno o addirittura due figli e di andare comunque dal parrucchiere durante la pausa pranzo. Fa tremila cose e appare ugualmente sempre meno conciata del suo corrispettivo provinciale. Comprendi che qualcosa non va solo quando inizia a parlare, perchè proprio non riesce a pronunciare meno di tre parole al secondo.

Del resto, un milanese che se la piglia comoda è un milanese morto. Se non ci credete, provate ad attraversare Corso Sempione col verde, senza correre.

Se la tipica frase di apertura della provinciale è "Ciao, non ci vediamo da una vita! Come va a casa?", quella della milanese è "Scusa, ma ho solo un minuto che poi devo correre di là. Le cose al lavoro come sono?". Il tempo preoccupa entrambe: per la prima, una settimana è una vita, per la seconda lo è un minuto. Quanto all'habitat che impegna maggiormente le loro energie fisiche e mentali, non potrebbero essere più agli antilopi - n.d.r.: no, caro lettore, non mi hai beccato un refuso, volevo solo farti sentire intelligente :)

E poi ci sono io: non compresa dai provinciali e presa per il culo dai milanesi per le mie origini villiche.
Con i primi non so proprio come fare: ho tentato di spiegare e rispiegare che, nonostante le due ore di strada all'andata e le due al ritorno, faccio proprio ciò per cui ho studiato e mi piace tanto che non vorrei una vita diversa. La loro risposta di solito è: "Certo, capisco... ma non puoi trovare qualcosa qui vicino?". Ovviamente la risposta è no, per il semplice fatto che parlare con una laureata in psicologia in provincia è tanto stigmatizzante quanto la stessa cosa è trendy a Milano... e questo anche se tu di lavoro non fai la psicologa. Ma anche fosse possibile, come lo spieghi che per ora stai bene dove stai a una persona che pensa che un lavoro sotto casa sia il top, a prescindere dal lavoro?
Col milanese me la cavo meglio:
"Scommetto che in provincia andate a nanna presto perchè non c'è nemmeno un locale per uscire."
"Oppure perchè ci alziamo presto la mattina per venire a sentire le cazzate dei milanesi."
Il bello del milanese è che incassa bene i colpi... il brutto è che il più delle volte non resta fermo abbastanza da sentire la tua risposta.

Per ora ho trovato un imperfetto equilibrio tra i due mondi: resto a Milano abbastanza tempo da tornarmene a casa dai miei animali, contenta di affrontare due ore di mezzi pur di togliermi di dosso lo smog con una doccia. Poi, dopo una serata provinciale trascorsa ai fornelli per la penuria di cibo da asporto, sono pronta a ripartire per la metropoli.

Ciò fa di me una creatura nè carne nè pesce, che tra l'altro ha preso il peggio da entrambi i mondi.

sabato 24 novembre 2012

La Sagra dello stereotipo

Qualsiasi appartenente ad una categoria sociale percepita come "divergente dalla norma" è oggetto di stereotipi. Del resto, se appartieni a una minoranza, reale o presunta, non è detto che sia così facile per le persone ottenere informazioni di prima mano su "quelli come te". 
Non è che tutti i giorni un normodotato si renda conto di incontrare gay, ebrei, o fan di Star Trek, soprattutto perchè probabilmente non frequenta gay-bar, sinagoghe o convention di fantascienza, ovvero quei posti dove gli appartenenti alle succitate categorie si riconoscono al volo. Il disabile fa un po' eccezione, perchè lo riconosci ovunque, sempre che riesca ad uscire di casa nonostante le barriere architettoniche.
Ma come fa allora il normodotato medio a sapere come è fatta una minoranza? Non gli resta che basarsi sul sentito dire... almeno finchè non ha la possibilità di incontrare un rappresentate della presunta minoranza e porre direttamente delle domande che, nella migliore delle ipotesi, lo faranno sembrare un completo idiota.
Molti disabili sono infastiditi dai più comuni stereotipi sociali relativi alla propria categoria.

E' più che evidente a chi sta su una sedia a rotelle che la maggioranza dei bipedi nutre oscure fantasie circa anatomia, usi e costumi degli handicappati.

E' altrettanto vero però, che pure i disabili condividono lo stesso stereotipo del normodotato: alto (n.d.r.: ci sembrano tutti watussi dalla sedia a rotelle, tranne Brunetta), deambulante e incline alle gaffes.

Non capisco però perchè tanta animosità da parte dei disabili nei confronti della specie che attualmente domina la Terra: non è mica colpa loro se hanno un patrimonio genetico e una connotazione fenotipica tanto anonima. Certo, a volte è difficile distinguerne uno dall'altro, perché non solo hanno tutte le componenti fisiche previste dallo stampo, ma pure tutte funzionanti e allo stesso posto! I disabili invece li distingui al volo, anche all'interno della folla: non c'è n'è uno uguale all'altro, anatomicamente parlando. 

Alcuni ci chiamano Figli di un Dio Minore, chi ci conosce meglio, Figli di puttana

La verità è che i nostri corpi non sono abiti dozzinali, ma prodotti di alta sartoria psicopatica. E' ovvio che poi i normodotati facciano delle gaffes: quando ci parlano non sanno nemmeno da che parte guardarci, figurasi come prenderci.

Basta non essere permalosi.

Io ci sto addirittura scrivendo un libro di aneddoti grazie agli improbabili scambi comunicativi con i bipedi (n.d.r.: chiedo scusa sin da ora per l'eventuale prossima pubblicazione). 

Confido che il popolo bipede abbia autoironia... o che non comprenda di essere stato preso per il culo. 

Io comunque questa la chiamo par conditio: se tu puoi farmi una domanda personale, che sottintende un'assurda visione della disabilità, io sono disposta ed educarti... solo sfottendoti un po'. 

La vita dei disabili è difficile... lasciateci almeno divertire.

Voglio oggi dedicarvi le perle raccolte negli ultimi due mesi circa. Ringrazio i protagonisti inconsapevoli - ma non necessariamente incolpevoli - dell'odierna pagina del blog.

Legenda:
Io = io, soggetto disabile sottointeso
N = normodotato

N: «Ma anche tuo marito è sulla sedia a rotelle?»
Io: «Certo! E ogni volta che vogliamo trombare ci aiuta la badante»

N: «Scusi… sono inciampata.»
Io: «Stia più attenta: guardi a me cosa è successo!»


N: «Scusi, non pensavo salisse un disabile sul treno proprio oggi»
Io: «Sta usando la cintura di sicurezza per sedie a rotelle del treno per legare la sua valigia? Complimenti: lei è uno stronzo, ma creativo»

N: «Ma lei è disabile?»
Io: «E lei è dell’ASL che si fa venire il dubbio che una sulla sedia a rotelle possa non essere disabile?»

N: «Vorrei essere come te»
Io: «Disabile?»
N: «A parte quello»
Io: «Anche io vorrei essere come te, a parte te»

Callcenter Staz.Termini: «A signo' spetta al telefono! Se nun te movi te faccio a Carta Blu (ndr: quella per disabili) gratis!»
Io: Senza parole

N: «Ma tu bambini non ne vuoi?»
Io: «A colazione?! Non rimangono un po' pesanti?»

N: «Confesso che mi sono chiesto come sarebbe farlo con una donna come te, sulla sedia a rotelle»
Io: «Sulla sedia a rotelle è decisamente scomodo»

N: «Vivi con i tuoi?»
Io: «Sono sposata»
N: «Davvero?! Anche lui è come te?»
Io: «No, lui è maschio»

N: «Ma ti trucchi da sola?»
Io: «Solo quando Diego dalla Palma è impegnato»

N: «Leggi? Hai mai letto qualcosa di Umberto Ego?»
Io: «Chi?!»
N: «L'autore de Il nome della rosa»
Io: «...rosa...osa...osa...»

Addetto cassa cinema: «Mi dà il tesserino disabili?»
Io: «Non ce l'ho»
Addetto cassa cinema: «E come faccio a sapere che lo è?»
Io: «Bastano 100kg di carrozzina a motore sul piede?»

N?: «Ho un messaggio di Dio per te»
Io: «Senti, facciamo che per una volta porti a Lui un messaggio da parte mia... qualcosa contro il turpiloquio?»

N????: «Posso parlarti di Dianetics?»
Io: «Mi spiace, non ascolto nemmeno gli esponenti delle religioni serie.»


Compaesana N: «Perché parlare dei miei problemi con la psicologa anziché col prete?»
Io: «Perché io non le dirò mai di pregare un Altro per avere le risposte»

Io: «Si sposti» 
N: «Potrebbe dire ‘per favore’» 
Io: «Semmai lei dovrebbe chiedere scusa: è seduto sul posto disabili»

Marito: «Si vuole muovere? Il treno sta partendo!»
N: «Non vede che sto spostando le borse dei bambini? Che maleducato!»
Io, ai bambini: «Visto che il vostro babbo ci tiene tanto all'educazione, ora v'insegno una cosa: non ci si siede sul posto per disabili. Il vostro papà ha fatto una cosa davvero, davvero cattiva. Capito? Bravi!»

N: «Ufficio orientamento?» 
Io: «Sì, dica» 
N: «Scusi, dove sono le macchinette del caffè?»

N: «Lo sciopero termina alle 18. Posso almeno offrirle un caffè?» 
Io: «Ha in dosso una divisa da Capotreno e io sono bloccata qui da 2 ore. Scappi finché è in tempo»

N: «Riesci almeno a seguire la S. Messa in TV?» 
Io: «Quando non danno X Factor, Padre»

Grazie al cielo non tutti i bipedi sono Capre in senso Sgarbiano, ma i miei bipedi preferiti raggiungono livelli di sottigliezza a dir poco sublimi. Ecco quali sono le cose che dovete saper dire se volete entrare nelle mie grazie: 

Io: «Non so mai se caffè ha l'accento dall'alto verso il basso o dal basso verso l'alto»
Collega: «Guarda che è grave»
Io: «Sei sempre il solito esagerato!»

Marito: «Cara, che ne pensi del sesso stamattina?» 
Io: «Che ci sono troppe esse per essere una parola di sole cinque lettere» 
Marito: «Non intendevo linguisticamente, a meno che tu non voglia...»

Madre: «Vieni a cena stasera? Tuo fratello è il personaggio del mese di una rivista!» 
«Sono impegnata»
Madre: «A far che?»
Io: «A riprendermi la Kamciakta»
Madre: «Ne hai così da correre... peccato che non puoi»

Collega pendolare figo che mi aiuta ad allacciare la cintura di sicurezza della carrozzina: 
«Posso fare altro?»
Io: «Non è che stasera mi aiuti a slacciarla a casa mia?»

Amica: «La vita è inconcepibile» 
Io: «Tecnicamente è un ossimoro» 
Amica: «Non essere retorica» 

Marito: «Ho preso tutto quello che hai scritto sulla lista della spesa»
Io: «Come può 'fette biscottate' essere interpretato come 'birra'?!»
Marito: «Tu prendi sempre quelle al malto, no?»

Fratello: «Ma quando hai fatto l’ultimo aggiornamento di sistema?» 
«Se non ne avessi mai fatti? Per dire…»
«Comprane uno nuovo? Per davvero...»

Io: «Ma lo sai che Gesù era sposato?»
Marito: «Cavolo, ma allora era davvero un santo!»

Io: «Sono un po' preoccupata per questo colorino. Dici che devo fare degli esami?»
Marito: «Stai tranquilla amore: tu non morirai di morte naturale»

Io: «Sono depressa»
Siri: «Vuoi che cerchi un centro di salute mentale vicino?»
Io: «Possono aiutarmi?» 
Siri: «Davvero non so»

Marito: «Amore, stanotte ho sognato che facevamo sesso»
Io: «Quindi per questa settimana siamo a posto, vero?»

Gesù: «Ama il prossimo tuo come te stessa»
Io: «Gesù, fidati: in questo periodo è meglio se lo amo come se fosse qualcun altro»

E con questa ho chiuso. Tranquilli! Gesù non mi parla davvero: con quello che deve passare una disabile nella vita, sa che se mi rivolegsse la parola lo metterei in croce... un'altra volta.

giovedì 15 novembre 2012

Don't cry for SLA dear Fornero

Ultimamente si sente molto parlare di SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), soprattutto a causa di un gruppo di malati cocciuti, che invece di morire in silenzio, sono intenzionati a farlo pubblicamente, mediante sciopero della fame e altre misure drastiche.
Le ragioni dello sciopero si possono riassumere così:
i malati di SLA hanno deciso di non mangiare più perchè troppa gente ha mangiato prima

Quando mancano i fondi, vorrai mica tagliare gli stipendi e i privilegi dei politici? Insomma, loro hanno un tenore e una qualità di vita da mantenere, i malati di SLA già erano conciati prima, che differenza vuoi che faccia se togli loro anche quel poco che hanno? Sia mai che magari muoiono e risolvi il problema alla radice.

Il casino vero è che certa gente non riesce proprio a crepare in silenzio e lo fa mettendo in imbarazzo un sacco di brave persone, inclusa la Fornero, le cui lacrime non fanno nemmeno più notizia, come quelle delle statute della Madonna tanto in voga tempo fa.

E sì che per tenerli buoni e zitti hanno pure tirato fuori dal cilindro 200 milioni euro, da ripartire sul fondo per tutte le non autosufficienze. Un po' come quando la nonna caccia fuori l'euro per il nipote e compiaciuta gli dice: "Toh, va a mangiarti una pizza con gli amici, ma non spenderli tutti eh?!" 

Il sottosegretario al Ministero del Lavoro Maria Cecilia Guerra, fa giustamente notare che un "piano di lungo respiro" sulla non autosufficienza richiede i suoi tempi. Ma cosa vuoi che ne capiscano di "lunghi respiri" delle persone che vivono attaccate al ventilatore? Certa gente prorprio non riesce a pensare a lungo termine: cose che capitano se i medici ti spiegano che puoi crepare da un momento all'altro.

E così questi invalidi allettati si permettono di rompere le palle con la storia dell'assistenza per la non autosufficienza a chi è abbastanza autosufficiente da non necessitare di assistenza. Sti disabili proprio non vogliono capire che i problemi veri della vita non sono mica chi ti pulisce il culo, chi ti imbocca o quanta aria ti è rimasta nella bombola ad ossigeno. Giustamente la Fornero pare abbia fatto notare a uno di questi malati: “E' dura anche la vita del ministro”. Pare che il malato non abbia ribattuto a voce - forse perché rimasto senza fiato -  ma se le telecamere avessero inquadrato il labiale, sicuramente vi avremmo letto un: "Dio ti benedica Donna".

Con tutti i problemi seri del Paese, tipo le Primarie o la a riforma elettorale anti Grillo, è assurdo che i Ministri debbano perdere tempo dietro ai ricatti di gente che non riesce manco a stare al mondo da sola. Non che importi molto se muoiono, purchè non lo facciano davanti alle telecamere, che poi magari ci sono i bambini che guardano il TG e s'impressionano vedendo questi qua che non riescono nemmeno a muoversi. E sarebbe brutto dare ulteriori preoccupazioni alla brava gente, tipo mettergli in testa che la SLA colpisce le persone di tutte le razze e di tutti i gruppi etnici, soprattutto gli uomini tra i 40 e i 60 anni. Evitiamo di dire in giro che nel 90-95% dei casi la SLA colpisce in modo casuale e che la maggior parte dei pazienti non ha una storia familiare della malattia.

Ehi tu, lettore, ti prudono le gonadi che ti tocchi così? Smettila di grattarti le palle e cerca di rimanere concentrato.

L'Italia condanna l'eutanasia è questa sì che si chiama coerenza: viviamo in un Paese in cui si nega sia il diritto di vivere che di morire con dignità.

Il problema è che questi SLA hanno ben poco da perdere e pertanto sono molto meno ricattabili dei Ministri. Ogni anno in Italia muoiono 1.000 persone che rifiutano la trachestomia per l'abbandono dello Stato, ma hanno la decenza di farlo in privato, senza turbare nessuno o disturbare la campagna politica. Qui la differenza è che il 21 novembre gli SLA si presenteranno a Roma, davanti al ministero dell'Economia, senza ventilatore polmonare di scorta, sfidando la morte in diretta TV. Dopo 5-6 ore si scaricheranno le batterie e moriranno per soffocamento: non è come guardare la Formula Uno col brivido segreto dell'incidente spettacolate sempre dietro l'angolo. E' più come prendere il pesce rosso del tuo bambino e starlo a fissare fino all'ultimo mentre sbarra gli occhi e ti boccheggia davati, come in una muta supplica. Si fossero lanciati col paracadute per battere il record del mondo, la Red Bull avrebbe elargito gran parte dei fondi necessari all'assistenza, invece questi qui minacciano di morire senza un po' di pathos, suspance... non mi meraviglia che manco il Ventolin li abbia sponsorizzati. Volete davvero perdervi questo spettacolo?

Un momento... io forse sì.

Pure il pesce rosso non riuscirei a guardarlo morire... suppongo che con un essere umano sia pure peggio.

E tutto sto "spettacolino" per che? Alla fine i soldi per i malati SLA salteranno fuori. Il punto è: i soldi si troveranno prima o dopo che la Fornero sia costretta a piangere di nuovo davanti alle telecamere? Che, a proprosito, se mai incontrassi vis a vis la Ministra, la prima cosa che le chiederei è la marca del suo splendido Rimmel waterproof. Pure lei potrebbe trovare facilmente lo sponsor: "Perchè io valgo, mica come i malati di SLA".

Sapete che vi dico? E' uno schifo. E io non soffro nemmeno di SLA, ma proprio sto branco di ricattatori cocciuti non riesco a ignorarli.

Mi fanno paura, perchè chi non ha nulla da perdere, non minaccia mai a vanvera.

Tutti pensano che sia una provocazione e magari puntano a scoprire il bluff. Beh, io non scommerei mai sulla vita delle persone, soprattutto perchè Salvatore Usala sa bene che carte ha in mano e che grazie alla SLA riveste i panni del classico "morto" nella proverbiale partita di poker.

Non sottovalutate la determinazione di chi, sapendo che non rimane comunque molto da vivere, è disposto a dare almeno un senso alla propria dipartita.

Se Salvatore Usala o un qualsiasi altro malato di SLA morisse, peserebbe sulle nostre anime. Non su quelle dei ministri, perché è assodato che per entrare in politica si debba pagare pegno, ma sulle nostre anime.

Gente come Salvatore Usala rischia di diventare un eroe per i disabili e un terrorista per il Governo.

Signori Ministri: non fatelo per carità cristiana nè per umanità, ma per calcolo, per non fare la solita figura di merda davanti al mondo.

Se loro diventano Martiri, come al solito Voi Ministri farete la parte degli Stronzi. Vogliamo per una volta provare a invertire i ruoli e far vedere che in Parlamento ci stanno brave persone ingiustamente accusate da invalidi stronzi di non prendere a cuore i loro problemi?

Io la notte voglio dormire senza essere ossessionata dal pensiero di un soffocamento in diretta TV. E voglio pure addentare il mio panino senza che mi vengano in mente dei malati di SLA che rifiutano il cibo e non hanno la costituzione di Pannella. Certe cose fanno perdere sonno e appetito alle persone con un brandello di coscienza. Quanto a voi... vi va ancora aglio e olio prima di andare a nanna?

sabato 3 novembre 2012

Chi si accontenta gode, per circa cinque minuti

Ultimamente ci insegnano un sacco di cose sbagliate o forse lo hanno sempre fatto, ma una volta non stavo a sentire nessuno. Voi però siete bravi ragazzi ed ascoltate persino una come me, che manco cammina, eppure è convinta di detenere la verità assoluta su come dovrebbero essere il mondo e le persone. Quindi ora ne approfitto per dirvi che gente molto più pagata di me, dice un mucchio di stronzate. Io probabilmente ne sparo altrettante, ma almeno le mie sono gratis. 

Prendete la Fornero: uno pensa di poter lasciare i propri figli davanti alla TV mentre parla un Ministro e invece, appena ti distrai, ecco che salta fuori Lei a insegnare ai tuoi pupilli come si perde, senza nemmeno provare a giocare. 
Non è che sono stupida, lo so anch'io cosa intendeva affermare dicendo che i giovani d'oggi sono troppo "choosy". Per Diana, mi occupo di orientamento al lavoro e selezione del personale! Non passa settimana senza che senta un laureando dire: "Fino a Vigevano?! Ma non c'è qualcosa di più vicino?". Tesoro di mamma: vero è che hai una quasi Laurea in Agraria e non in Geografia, ma potevi sospettarlo che a Milano non si trovassero molte risaie, no? Che poi il discorso del "così lontano" capita sempre a me, che nemmeno mi reggo in piedi e ogni giorno mi sparo due ore all'andata e due al ritorno per giungere al lavoro, generalmente prima dei colleghi milanesi. 
Ma se io lo faccio e dei baldi giovani bipedi in salute no, forse è solo perché mia madre ha sempre pensato che potessi farlo.
Ma torniamo alla Ministra. Tutto vorrei fare nella vita, fuorché dare in parte ragione alla Fornero. Invece è vero: molti (non tutti) giovani moderni tengono il culo pesante. Sarà stata la Playstation, sarà colpa di Internet che gli porta il mondo in casa, saranno mamma e papà, che dopo aver sborsato migliaia di euro per l'istruzione del figlio, mai vorrebbero vedere la salute del piccolo Albert consumarsi nel pendolarismo. 

A volte pure la Fornero ci azzecca, ma per fortuna poi ne spara una talmente grossa da far dimenticare qualsiasi affermazione sensata sia mai uscita da bocca umana. Perché, secondo la Fornero, i nostri giovani virgulti schizzinosi devono imparare ad accontentarsi. 

Accontentarsi di cosa? Ad oggi la Ministra non ha ancora dichiarato pubblicamente qual è il valore minimo accettabile che i giovani dovrebbero imparare a farsi andare bene. Credo sia per quello che, nonostante le apparenze, è ancora viva.

A parte che, secondo me, non puoi dire ad altri cosa insegnare ai loro figli se i tuoi stessi figli non hanno fatto il cameriere almeno un'estate nella vita, prima di diventare professore associato. 

Ma il punto è che i giovani non devono imparare ad accontentarsi: devono imparare a cogliere qualsiasi occasione, anche la più scomoda, per iniziare a muoversi verso un obiettivo preciso, sfidante e dichiarato.

E qui casca l'asino. 

Provate a chiedere a un ventenne cosa vorrebbe fare nella vita: quasi nessuno ve lo dirà. 
Io pongo questa domanda almeno cinque volte a settimana a un mucchio di giovani studenti, ma solo due o tre mi rispondono come si deve, quei due o tre che sono sicura diventeranno qualcuno.

Non ho ancora ben capito se i giovani non dicono cosa vorrebbero fare davvero perché non lo sanno, o perché hanno paura di fare la figura dei fessi ammettendo di avere dei sogni. 

Se fosse così, che razza i mondo è quello in cui persino sognare è diventato qualcosa di cui vergognarsi?

Quando chiedo "cosa ti piacerebbe fare?", i più mi rispondono: "trovare un lavoro" e, facendo così, non lo troveranno mai, non grazie a me almeno. Perché si dà il caso che la prima regola di un buon selezionatore non sia trovare qualcuno che vuole un lavoro, ma l'unico che voglia quel lavoro o, perlomeno, qualcuno che per arrivare al lavoro della sua vita deve passare proprio da quel lavoro lì.

Il segreto non è farsi andare bene per sempre la prima cosa che capita: chi si accontenta gode i primi cinque minuti ed è insoddisfatto il resto della vita.

Perché accontentarsi significa stare immobili, cercando ogni giorno nuovi modi per ingannare il tempo, per non pensare che sei seduto sulla riva del famoso fiume, ad aspettare di veder passare il tuo stesso cadavere. 

Accontentarsi è la cosa peggiore che si possa fare a se stessi. 
Nell'accontentarsi non c'è felicità, forse nemmeno consolazione. 

Chi si accontenta non può essere felice, semplicemente perché la felicità stessa è qualcosa di effimero, che si tocca davvero dopo ogni piccolo o grande traguardo della vita e che poi sfugge nuovamente e ci strizza l'occhiolino dalla cima di una nuova montagna. E ogni volta che tocchi la felicità, lei si allontana e tu la guardi un po' scocciata, come a dirle: "Dammi tregua!!". La fissi arcigna, ancora col fiatone: ti chiedi per un momento se non sia il caso di accontentarsi e fermarsi... magari per un po' lo fai anche. Poi un giorno ti prende la malavoglia: hai già un sacco di cose che altri sognano, eppure non basta.  Inizi a chiederti se quella sarà la tua vita fino alla fine… e non è che sia una brutta vita! Nessuno avrebbe scommesso su un terzo delle cose cose che hai fatto! 

Però ti guardi indietro e vedi tutte le montagne che hai già superato. Poi guardi avanti e vedi un obiettivo che ti fa ciao ciao con la manina e inizi a pensare che quella montagna non è più alta delle precedenti e nemmeno più lontana. 

Dici agli altri che sei pronto a riprovarci, che infondo non importa se non riuscirai... ma non è vero, perché se non t'importasse, non ci proveresti nemmeno.  Così ti rimetti in moto: dopo tutto ad accontentarti fai sempre in tempo.

Prima del mio lavoro attuale, facevo la pensionata. Ero brava a scuola, si può dire che avessi una sorta di "metodo di studio innato", così iniziai a dare ripetizioni. E dove puoi mai andare a finire nella vita se dai ripetizioni? Guadagnavo qualche cinquantamilalire al mese, senza chiedermi se ne valesse la pena a lungo termine. Però avevo iniziato a notare una cosa: se ero convinta che il mio studente potesse imparare, quello imparava… il problema è che ero convinta che tutti potessero farlo. 

In breve, divenni molto richiesta e quasi pensai che potesse bastare. 

Poi mi sono iscritta all'università, anche se tutti lo consideravano "un modo per tenersi impegnata"
Mi piaceva psicologia e come ogni neofita della materia, iniziai a fare un sacco di auto-analisi e a fantasticare di diventare una grande psicoterapeuta. Peccato che dopo cinque anni di seghe mentali sei a pezzi: hai smontato te stessa pezzo dopo pezzo, analizzato ogni sogno, lapsus, gesto, scoperto che sei una persona orribile e, cosa peggiore, che non solo non sarai mai una brava terapeuta, ma nemmeno una brava persona. Per inciso, ti sei accorda da tempo che i depressi ti deprimono e hai studiato abbastanza da capire che se farai la psicoterapeuta vedrai un mucchio di gente triste. Avete mai sentito di qualcuno che va dallo psicologo perché è di buon umore?

Anni e anni di auto-analisi per comprendere che se una cosa sta nell'inconscio di solito è per un ottimo motivo e per constatare che, se mai deciderai di fare la terapeuta, finirà con un sacco di gente che si suicida, inclusa te. 

E con questa nuova consapevolezza addosso, arrivi a scegliere il tirocinio obbligatorio e non è che ci sia poi molto da scegliere, soprattutto se sei disabile e le strutture ospitanti hanno tutte le scale, tranne Telefono Azzurro. 

Il problema è che se c'è qualcuno che sopporto ancor meno dei depressi, quelli sono i bambini. 

E allora non c'era nemmeno la Fornero a dirmi di non essere "choosy". Mi son fatta due conti e ho compreso che un po' di esperienza non retribuita a due ore di strada era comunque meglio dello stare a casa a fare la calzetta. Fu così per tre mesi, durante i quali fu evidente a tutti che ero troppo bacchettona per rispondere ai ragazzini al telefono. Però ero brava a scrivere e a usare il computer, grazie a un corso per operatore telematico frequentato anni prima, che pensavo non mi sarebbe mai servito nella vita, ma che era gratis. 

Poiché un tirocinante non costa nulla, perché non farmi provare l'ufficio formazione? 
E cavolo, quella roba lì mi piaceva proprio. 
Misi nel cassetto la storia della psicoanalisi e iniziai a fare formazione e a scrivere libri per Telefono Azzurro. Il tutto per seicentomilalire al mese, con spese di viaggio pari al 110% delle entrate, visto che i miei genitori mi portavano a Milano in auto e mi venivano a riprendere la sera, sempre in auto. 

Per quanto lavorare a Telefono Azzurro mi piacesse tanto quanto mi piaceva il Capo di allora, fu chiaro che dovevo trovare qualcosa di vagamente redditizio. Aiutare il prossimo è bello, ma se lo fai a lungo gratis, finisce che il prossimo vorresti rapinarlo... e da quelle parti c'erano solo i proverbiali lecca-lecca in mano ai bambini. 

Feci concorsi comunali di ogni tipo, che persi sempre per un soffio. Queste sconfitte sono l'unica cosa di cui sono grata a Dio, o alla mia inattitudine alla burocrazia. 
Dopo aver fallito il concorso per un posto all'anagrafe dietro casa mia, piansi per giorni.

Ogni volta che vado in Comune per il rinnovo della carta d'identità, penso che avrei potuto esserci io lì, dietro quello sportello. E mi torna subito il buon umore. 

Sembravo allora destinata ad una carriera da invalida pensionata, dopotutto. Avevo cercato ovunque, incluso posti da centralinista e in sacchettificio. Non ricordo nemmeno come, ma un bel giorno mi invitarono a un colloquio per un posto part-time in un comitato che doveva occuparsi di mobbing. Io manco sapevo cosa fosse il mobbing  - purtroppo lo avrei capito solo dopo diversi anni di lavoro -, ma comprai un sacco di libri e studiai come una matta. Poi però il comitato non venne creato e mi ritrovai full time in un ufficio per l'orientamento allo studio e alle professioni. Avendo lavorato a Telefono Azzurro, mi offrirono di aiutare a metter su un servizio di consulenza psicologica basato sull'invio telefonico. 

Per fortuna gli studenti universitari sono prevalentemente ansiosi, anziché depressi e, soprattutto, non sono dei bambini!

Così per un po' mi accontentai. 

Ma non era quello che avevo in mente per me, non solo quello almeno. Iniziai a proporre delle idee, che incontrarono spesso scetticismo. Il mio primo workshop fu sul metodo di studio e persino una cosa banale come le ripetizioni date da ragazza, mi aiutò a esplicitare tecniche e strategie, che di solito si applicano senza nemmeno rendersene conto. Quella fu la prima volta che qualcosa di "mio" aveva successo, al punto da crearci sopra un nuovo servizio. 

E per un po' fui soddisfatta. 

Per un po'… finché un'altra idea non iniziava a prendere forma. Così, anno dopo anno, format dopo format, ho cercato di fare qualcosa che mi rendesse felice. Ci sono riuscita? Spesso sì, sempre per un po'. 

In verità vi dico, solo la noia volendo è infinita: la felicità è eterna finché dura. 

Sono abbastanza sicura che tutti gli eroi delle favole, una volta sentita pronunciare la fatidica frase "…e vissero felici e contenti", si siano guardati l'un l'altro e abbiano pensato: "Sì, vabbeh, ma ora che si fa?".

Stanno cercando di insegnare ai vostri figli ad accontentarsi, che è come dire che gli stanno insegnando a perdere. Ora, io figli non ne ho, ma quando mi capitano sottomano quelli altrui, appena mamma e papà si voltano, se non c'è la Fornero nei paraggi, quello che dico loro è che devono immaginarsi un sogno bellissimo da realizzare e devono lavorare giorno dopo giorno per renderlo sempre più vero. E non importa se quel sogno cambierà nel corso della vita, non importa nemmeno se non lo realizzeranno del tutto. 

Quotidianamente incontro persone che si lasciano vivere, anziché vivere. A volte capita che si sveglino dopo anni di torpore e si chiedano cosa abbiano fatto sino a quel momento. E alle proprie spalle vedono solo giorni tutti uguali, in cui non sono stati tristi, ma nemmeno felici. Erano vivi solo formalmente, perché se non hai dei sogni nella vita, non rimarrai mai deluso. Il problema è che spesso deluso è meglio che anestetizzato.

Se è questo che vuoi per tuo figlio, se vuoi che si accontenti, così da non sentirsi mai disperato, ma nemmeno davvero felice, allora fai prima a imbottirlo di antidepressivi fin dalla più tenera età: così la smette di essere iperattivo e adegua l'umore al resto della sua vita.

E' davvero questo che vogliamo trasmettere alle nuove generazioni? Vogliamo insegnare loro che se non puntano in alto, non correranno mai il rischio di perdere? Ma non è meglio perdere che non provarci nemmeno? Non è meglio partecipare alle Olimpiadi e arrivare ultimi, che non essersi mai dati il permesso di sognarle? E anche se non vinceranno, rimpiangeranno il tempo in cui si allenavano per un obiettivo che non hanno centrato, oppure avranno la soddisfazione di dire: "Se non altro io ci ho provato davvero!"

Molti credono che, se non sei la figlia della Fornero, studiare non ti dia certezze, figuriamoci permetterti di sognare. Ma la verità è che, se mantieni la mente aperta, tutto ciò che impari nella vita, prima o poi ti servirà, sempre che da qualche parte ci sia qualcosa che desideri.

Beh, io ho un nuovo sogno e stavolta ho deciso di sognarne uno davvero enorme: così grande e lontano da sembrare utopia. E forse anni fa sarebbe stato utopia, perché non sapevo un sacco di cose e, soprattutto, a prescindere dall'auto-analisi, non sapevo chi ero.  

Io sogno di aiutare i normodotati a capire, accettare e adattare il loro mondo, per accogliere anche i sognatori non deambulanti. Io sogno di cambiare le persone, anche le più ignoranti, le più testarde, le più "politicamente corrette" e so che se ci credo davvero, queste persone cambieranno.

Io ho un sogno e mi risulta che chiunque abbia concluso qualcosa nella vita, ne avesse uno, spesso nemmeno tanto piccolo.