martedì 10 maggio 2016

Esisto dunque m'incazzo


Ovvero come convincere il bipede a porre le domande direttamente al disabile anzichè all'accompagnatore


Penso dunque sono. 

Se Cartesio ha ragione, buona parte dei bipedi non esiste ed è esclusivamente frutto della mia mente masochista. Il che rende me Schizofrenica, ma sempre meglio che pensare che tutti quelli che incontro siano reali.

Insomma, è evidente che i più non pensano, oppure non ritengono sia necessario farlo prima di aprire bocca. Tipo il Capotreno che stamattina si è rivolto a MARITO, indicando ME, per chiedere a LUI se IO avessi intenzione di scendere a Cadorna.

Ti giuro che ero sveglia, ben vestita, pulita, ordinata e perfettamente in grado di rispondere agli stimoli esterni... pure troppo anzi, come sempre.

Eppure, per quanto cerchi di mantenere una costante espressione di profonda intelligenza quando sono in pubblico, se accanto a me c’è un bipede, la gente interroga il bipede, soprattuto su questioni che riguardano me. Avrei più speranza di essere coinvolta in prima persona se fingessi di essere il pupazzo di un ventriloquo.

Sto in coda un’ora citando Immanuel Kant e Fëdor Dostoevskij solo per dimostrare a chi mi sta intorno che sono senziente e, quando arrivo al banco per attivare il finanziamento della lavastoviglie al MediaWorld, il MedioMan chiede a Marito i dati del mio conto corrente.

Faccio la coda alla biglietteria del cinema e la bigliettaia chiede Marito se io sto seduta “lì” (ove per “lì” s’intende l’innominabile sedia a rotelle) o sulla poltrona.

Accompagno Marito in banca, che da solo teme gli pongano domande a cui non sa rispondere, ed ogni volta è un remake della scena di Galaxy Quest, quella dove il Capitano chiede a Sigourney Weaver di chiedere al computer le cose, lei si gira, gliele chiede, il computer risponde e lei ripete esattamente la risposta al Capitano. Che se il Capitano rivolgesse la parola direttamente al computer non ci sarebbero tettone a bordo.

Vado al pub, la cameriera chiede a Marito cosa prende lui e sempre a lui chiede cosa prendo io. E, ancor peggio, quando porta l’ordinazione, inverte le ordinazioni e piazza la Bionda davanti a lui e la cazzo di bibita allo pseudo-caramello corrosivo a me. Questo sulla base del principio bipede secondo cui i disabili sono come i bambini: non trincano, ma solo perchè non sono in grado d’intendere e di volere. Ogni volta che ci penso, mi vien voglia di bere per dimenticare. Ho pure provato a esibire la carta d’identità con la data di nascita e dire: “Nel pieno del possesso delle mie facoltà mentali, ordino una pinta”, ma ti giuro che la cameriera ha guardato lo stesso Marito, come se fossi pazzah!

Ogni giorno qualcuno chiede cosa voglio a Marito, come se io non fossi lì.

E meno male che ne ho sposato apposta uno con l’espressione poco sveglia. Non dico che non sia sveglio... ma è uno di quelli che se gli chiedi il codice di avviamento postale del suo paese ti pare di scorgere due clessidrine ruotanti in fondo agli occhi vitrei. 

Cogito ergo sum... 

Il problema è che, secondo Cartesio, pare che tutti gli uomini condividano la certezza indubitabile di essere soggetti pensanti… Scusa René, ma io personalmente, su questa faccenda, altro che dubbi iperbolici tengo.

A furia di essere ignorata, saltuariamente mi sono chiesta se per caso fossi morta senza saperlo. Tipo Bruce Willis ne “Il sesto senso”. O così, oppure sono io la sensitiva, solo che invece di vedere la gente morta, a me va molto peggio: vedo la gente scema. Ma se fossi morta non si spiegherebbe come mai nessuno mi rivolge la parola, ma tutti mi indicano o mi fissano di sottecchi. E accade sempre, mica solo quando dimentico gli slip sporchi sullo schienale della carrozzina.

La filosofia non è mai stata la mia materia preferita e i miei studenti di filosofia vedano di prendere questa confessione con… beh… con buona dose della loro materia. Si insomma, le seghe mentali e i meta-ragionamenti sono tra i miei passatempi preferiti, ma alla fine ho scelto psicologia perché non mi va di conoscere l’uomo e basta: io voglio entrargli in quella piccola testa bacata e rivoltarla come un calzino!  

Bramo i risultati tangibili. Sono una di quelle che ancora sbava dietro a Pavlov, in ottima compagnia di mute di cani. E da brava scienziata pazza, ho deciso d'intervenire per modificare la realtà, che di capirla e basta mi son rotta le palle.

Così, il primo passo (metaforico) è stato verificare di occupare lo stesso piano fisico dei bipedi e per farlo ho dottato il metodo empirico. L’esperimento ha fornito dati incontrovertibili, sebbene la metodologia non sia stata indolore: sì insomma, ho investito qualche soggetto con la carrozzina a motore e quello ha dato evidenti e scomposti segni di aver notato la presenza dello sperimentatore. 
Prima di rivolgerti a qualche comitato etico, posso annoverare diverse sperimentazioni mediche fatte sulla mia pelle quando ero bambina… io almeno prendo di mira solo soggetti adulti. Facciamo che io non ho denunciato te, essenzialmente perchè all'epoca non ero in grado di intendere e volere, ma i miei genitori purtroppo pensavano di esserlo. Ora tu non denuncerai me, altrimenti sosterrò di continuare a non essere in grado d'intendere e volere. Visto che sono handicappata, alla fine si tratterebbe di confermare un'ingenua teoria bipede.

Il terzo passo è stato osservare se il comportamento di evitamento del disabile si verificasse solo nel caso del presente soggetto o di tutti i disabili. Un sondaggio su web ha confermato che la prassi di porre le domande all'accompagnatore anzichè al disabile è ampiamente diffusa. Colleghi non vedenti hanno addirittura osservato (si fa per dire) come vi sia la tendenza del bipede a rivolgere la parola prima all'accompagnatore persino se questi è un cane guida. 

Il quarto passo (sempre metaforico) è consistito nel formulare l'ipotesi di lavoro: il comportamento evitante del bipede si può modellare sino al punto di costringerlo a rendere partecipe il disabile delle interazioni sociali che concernono quest'ultimo. Perché il bello dei bipedi è che alla fine si possono educare proprio come i piccioni di Skinner, anche se ci mettono più tempo a imparare… Infatti il detto “Due piccioni con una fava” deriva proprio dalla mesta constatazione dello psicologo americano che per educare un essere umano ci volessero un casino di fave in più che con i volatili.

Sebbene Skinner sostenesse che i premi (rinforzi positivi) diano risultati migliori e più duraturi delle punizioni (rinforzi negativi), sono personalmente convinta che ciò dipendesse dal fatto che le scosse somministrate alle cavie fossero troppo lievi: una bella fulminata e il ratto abbandona il comportamento scorretto la prima volta che abbassa la leva sbagliata… sì ecco, in un modo o nell’altro. 

Quinto e ultimo passo, che per quanto metaforici siano, non ci sono abituata, è stato quello applicativo, tuttora in corso. Convinta delle mie teorie, ogni volta che qualcuno si rivolge ad altri per una questione che riguarda me, io lo fulmino, purtroppo solo con lo sguardo. Con tutte queste associazioni animaliste, oggi non si riescono più a realizzare i modelli sperimentali di una volta, con tanto di fulmini e saette vere. Anche se a ben pensarci usando uomini anzichè topi si potrebbe provare: conosco gente che considera la sperimentazione animale un abominio e che s’è battuta per provare il metodo Staminkia direttamente sui bambini disabili. Pare basti una Laurea in Comunicazione per farsi passare per il medico del secolo.

Comunque, i primi risultati sono incoraggianti: ognuno dei soggetti fulminati visivamente e/o verbalmente, ha successivamente orientato l’attenzione e rivolto la parola direttamente allo sperimentatore. Tanto la scienza ha già dimostrato che l’osservatore modifica il comportamento dell’osservato che lo voglia o no, quindi tanto vale modificarlo in meglio.

Ulteriori sperimentazioni saranno necessarie per trarre le conclusioni definitive, ma posso già confermare che il metodo “Esisto dunque m’incazzo” modifica tangibilmente il comportamento del bipede, sebbene occorreranno studi a lungo termine per valutare possibili traumi residui nel soggetto "normale", traumi comunque più che meritati. 

E' seria intenzione di questa sperimentatrice continuare gli studi e raccogliere una casistica sempre più esautiva. I soggetti bipedi involontari sono ovunque... in effetti sarebbe gradito un aiutino da parte di altri sperimentatori disabili.

 

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